
Due argenti mondiali, l’ultimo conquistato pochi giorni fa a Jeju, in Corea, e una bruciante delusione: non aver potuto partecipare alle Olimpiadi di Londra, la prima edizione dei Giochi nella quale è stata ammessa la boxe femminile. Un dato di fatto reso ancora più difficile da accettare per via della motivazione: essere “troppo madre”. E’ questa la storia – e non la commedia – dell’assurdo di Marzia Davide, la trentaquattrenne di Pontecagnano, paese in provincia di Salerno, che dopo aver conquistato sul ring il posto per Londra è stata costretta a rinunciare. Lei, che a questo sport era destinata grazie al padre istruttore e a un passato nel kick boxing, non vedeva l’ora di muovere i primi passi in un universo esclusivamente maschile. E quando, nel 2002, il pugilato femminile diventa disciplina ufficiale, decide all’istante di mettersi alla prova.
I risultati non tardano ad arrivare, visto che quello stesso anno ottiene il primo argento al mondiale. Un successo che la ripaga dell’impegno e dei sacrifici che ogni attività sportiva impone. “In questi anni il mondo del pugilato è cambiato: prima era come la scherma, adesso si fa sul serio. Così come è cambiata la percezione della gente: una volta chi faceva boxe veniva guardato con scetticismo, come se fosse uno sport destinato a chi non aveva niente. Per fortuna anche questo aspetto, con il tempo, è completamente mutato. Adesso in palestra ci sono pure tanti universitari: ragazzi che hanno colto il senso di questa attività”. E anche il numero delle agoniste aumenta, visto che nel 2014 ha raggiunto quota 550: una cifra inimmaginabile fino a poco fa.
Purtroppo, però, per Marzia Davide il tempo non sempre è stato generoso: quando è nato Giovanni Federico, otto anni fa, nessuno avrebbe pensato che potesse in qualche modo interferire con una carriera dalla brillante prospettiva. E invece così è stato. “Prima c’è mio figlio, il mio tifoso numero uno, poi tutto il resto. La mia esperienza dimostra che i ruoli si possono conciliare: essere madre permette di essere atleta. Qualcuno però non era d’accordo, e a Londra non ci sono andata. Avrei dovuto entrare nel gruppo sportivo dell’Esercito, ma io sono prima di tutto una mamma. Peccato”. Un peccato, soprattutto visto i sorprendenti successi che la salernitana continua a ottenere: in novantasei combattimenti ha ottenuto ottantuno vittorie. In Corea del Sud, Marzia si è arresa soltanto alla bulgara Stamira Petrova, di dieci anni più giovane, dopo aver accarezzato l’obiettivo che all’Italia manca dal 2005, quando a Podolsk Simona Galassi ottenne l’oro. Tuttavia, Marzia non può che definirsi “soddisfatta di questa medaglia. Nonostante i dodici anni di attività ho ancora voglia di fare e di affermarmi. Non vivo la mia attività sportiva come un sacrificio, è parte di me. E adesso sto per inseguire, nuovamente, il sogno: se Londra è il passato, Baku è il presente e Rio de Janeiro il futuro”. E’ alle porte, infatti, la prima edizione delle Olimpiadi Europee e quelle in Sud America del 2016 non sono poi così lontane. “A Baku ci sono cinque categorie, mentre in Brasile per ora ce ne sono solo tre e manca la mia, quella dei 54 chilogrammi. Magari il Cio ci ripensa. E nel momento in cui verrà inserita, farò di tutto per esserci”.
