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Trenta le atlete che finalmente potranno “volare” sopra Sochi

Per fortuna non verrà ricordata soltanto per essere l’olimpiade omofoba di Putin. Molte atlete, capitanate dalle fortissime Lindsay Van e Jessica Jerome, hanno ottenuto di inserire il salto con gli sci femminile tra le discipline invernali

Nel dicembre scorso, Barack Obama ha nominato le due atlete che faranno parte della delegazione americana che parteciperà alla cerimonia di apertura e di chiusura di Sochi 2014: sono tutte e due famose in patria non solo per i traguardi raggiunti nel loro sport ma anche perché apertamente gay.

La prima è Billie Jean King, una delle tenniste più forti di sempre che, una volta ritirata dal professionismo, ha dedicato la sua vita alla lotta al sessismo nello sport. La seconda è Caitlin Cahow, ex giocatrice di hockey su ghiaccio, vincitrice di due medaglie olimpiche a Torino 2006 e Vancouver 2010.

All’ inizio dello scorso anno il Parlamento russo ha approvato quasi all’unanimità l’estensione su tutto il territorio nazionale di una legge già in vigore a livello regionale in alcune zone del paese: il divieto di propaganda omosessuale. Questa decisione ha naturalmente aperto un grande dibattito nell’opinione pubblica occidentale e, soprattutto, tra gli atleti che parteciperanno ai giochi. Cahow, intervistata poco tempo fa proprio su questo, ha parlato di una precisa filosofia che gli Stati Uniti avrebbero dovuto seguire: gli atleti andranno in Russia per vincere le proprie gare e “non c’è neanche una ragione al mondo per la quale bisognerebbe boicottare Sochi. La forza delle Olimpiadi è proprio quella di dare la possibilità a persone che abitano posti distanti tra loro di incontrarsi anche per scambiarsi idee e riflettere”.

Obama, con la scelta di Billie Jean King e Caitlin Cahow, ha così voluto presentare un’America al fianco delle femministe e delle comunità LGBT proprio per ribadire la posizione dell’amministrazione sul tema dei diritti. Intanto però il Comitato Olimpico ha inviato una lettera a tutti gli atleti ricordando che non potranno partecipare alle eventuali proteste. Di tutta risposta il New York Times, in un editoriale di poche settimane fa, ha ricordato che lo Statuto olimpico vieta ogni forma di discriminazione nei confronti di un paese o di una persona sulla base di razza, religione, politica o sesso”.

Per fortuna Sochi non verrà ricordata soltanto per essere l’olimpiade omofoba di Putin. Quattordici atlete, infatti, capitanate dalle fortissime Lindsay Van e Jessica Jerome, si sono battute negli ultimi anni per convincere il CIO a inserire il salto con gli sci femminile tra le discipline olimpiche invernali (l’unica tra queste, oltre alla combinata nordica, a non prevedere ancora l’alternativa di genere). Dopo aver ricevuto ben due rifiuti in vista di Vancouver 2010 perché ritenuto uno sport “troppo pericoloso per le donne” anche dallo stesso Gian Franco Kasper, presidente della Federazione Internazionale Sci, la richiesta è stata finalmente accolta per Sochi 2014.

“Il salto con gli sci maschile ha fatto parte delle Olimpiadi fin dal 1924. Ho sempre sognato di poter avere la possibilità di competere in questa manifestazione. Novant’anni dopo, ce l’abbiamo fatta” racconta Van che, insieme alle sue colleghe, ha accusato di discriminazione di genere gli organizzatori di Vancouver 2010.

Il salto con gli sci, infatti, è tradizionalmente una disciplina profondamente maschile, uno sport estremo e quindi ritenuto inadatto alle caratteristiche femminili. Così oggi, grazie anche all’impegno delle atlete come Van più che al cambio di prospettiva da parte del Comitato olimpico, la partecipazione femminile alle Olimpiadi continua ad aumentare. Il salto con gli sci è solo l’ultima delle discipline che fino a qualche edizione fa prevedevano solo la variante maschile.

Ultimamente sono stati inseriti altri sport considerati estremi, come il free style e lo snowboard cross, anche nella loro versione femminile. Naturalmente, lo status che il CIO ha finalmente riconosciuto a questa disciplina permette alle atlete di poter vivere più facilmente con i proventi sportivi e delle sponsorizzazioni. Van, per esempio, ha dovuto ricorrere ai lavori più strani – dog sitter, governante, pittrice – per sostenere le spese dei suoi allenamenti. Secondo Jessica Jerome questa battaglia “era una nostra responsabilità morale. Non voglio più vedere bambine di 9, 10 anni sentirsi tagliate fuori da una manifestazione così importante per questione di genere. E comunque non c’è nulla da celebrare, è solo un peso che non sentiamo più sulle nostre spalle. Adesso è arrivato il nostro momento”.

L’appuntamento è per l’11 febbraio prossimo, giorno in cui trenta ragazze potranno finalmente “volare” sopra Sochi proprio come i loro colleghi maschi. Come ha sottolineato la stessa Van, c’è però ancora molto lavoro da fare per equiparare le donne agli uomini visto che per adesso le saltatrici non possono gareggiare sul trampolino lungo. La strada quindi è ancora tortuosa ma le ragazze non sembrano voler mollare.