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Un’economista manager di Uber: “conta solo adattarsi al cambiamento”

A Uber Italia lavorano 12 donne, fino a un mese fa erano più dei colleghi maschi. L'età media è 28 anni, nel mondo una trentina. La compagnia di taxi-sharing è oggi attiva in centinaia di città. Qui Benedetta Arese Lucini racconta il suo lavoro di country manager

Milanese, 31 anni, workaholic, spesso in aeroporto. È Benedetta Arese Lucini, country manger Italia di Uber. Abituata a viaggiare per passione e per mestiere, in questi giorni si porta dietro un libro: The Hard Thing About Hard Things. “L’autore è Ben Horowitz – spiega – parla della sua esperienza come startupper prima di diventare un venture capitalist famosissimo. Di solito si racconta il successo, lui invece i propri fallimenti. È importante considerarli, fanno parte dell’esperienza”, spiega lei.

Quella di Benedetta, finora, è invece una storia di grande crescita e affermazione, partita dai banchi della Bocconi, nella sua città. “Ho fatto economia con la specializzazione in matematica finanziaria. Sono sempre stata appassionata di numeri, mia madre è una matematica, mio padre ingegnere, sono geneticamente portata. Ho iniziato la carriera in finanza, era per me il posto dove usare i numeri. Così fin dall’inizio sono stata in ambienti molto maschili, ma mi trovo bene dove c’è competizione. Ho poi frequentato un MBA perché mi piaceva il mercato dei film indipendenti, ho studiato business con una specializzazione in media e tecnologia. La musica e i film stavano in rete, emergeva il peer-to-peer, la distribuzione online diventava sempre più importante. Volevo continuare a esplorare l’ambiente digitale, così sono finita a San Francisco, finché sono stata contattata da Rocket Internet, un fondo tedesco che gestisce molte società di e-commerce e si stava aprendo al Sud Est asiatico. Sono andata a lavorare là. Una sfida bellissima, una esperienza particolare. E mentre stavo per trasferirmi a Hong Kong, perché avevo inaugurato un fondo per startup asiatiche con altri europei, mi ha chiamato Uber. C’erano da fare tre test diversi, una presentazione, otto colloqui. Un processo lungo, ma quando sono stata scelta per me è stata una bellissima opportunità: sono entrata senza avere trenta anni”.

Come è Uber vista da dentro?

“A Milano, all’inizio, eravamo in tre, oggi siamo 12 in Italia. L’età media qui è sui 28 anni, nel mondo una trentina. Siamo in cinque città italiane ma abbiamo aperto in 200 città nel mondo, dopo Milano. Uber è cresciuta in modo esponenziale. Siamo 5 donne a Uber Italia, fino a un mese fa eravamo più degli uomini. Ne sono fiera. Intanto perché la persona scelta per portare avanti Uber in Italia è una donna e poi perché le persone che io scelgo sono quelle brave, non mi interessa se maschio o femmina. Conta la cultura che si crea e riesce ad attrarre le persone competenti. Quando scegliamo sappiamo che chi viene selezionato è il migliore. Chi lavora con noi spesso ha una esperienza maturata in società simili, viene da percorsi di formazione come economia e ingegneria, sa adattarsi al cambiamento e sa usare numeri e dati”.

Molte donne ai “piani alti”, e tra le driver?

“Ci sono donne driver, ne vorremmo molte di più. Di solito tantissime sono mamme, magari lavorano part time. Lasciano i bambini a scuola, accendono l’applicazione e danno un paio di passaggi prima di andare al loro lavoro. È un peccato non siano abbastanza, anche quello dei driver è tradizionalmente un mondo maschile, eppure le donne infondono un senso di sicurezza. In alcuni paesi dove per legge le donne non possono salire in auto con gli uomini, abbiamo invece tutte driver femmine. È interessante poi la campagna che abbiamo fatto in America sulle maestre: lavorano la mattina e poi hanno tempo libero, sono persone fidate, con loro ti senti al sicuro”.

Perché in auto come al lavoro chi ti trovi di fronte conta. Anche quando risponde al telefono, in una intervista. E oltre ad essere gentile te lo fa capire: altro che quote rosa, in tecnologia – come in altri ambienti competitivi – solo la materia grigia vale.