
Serena Carta ha 29 anni, una laurea in relazioni internazionali, un lavoro che le piace come ricercatrice nel settore no profit e un compagno che sta pensando a come mettere in piedi la sua realtà imprenditoriale. Vive in una grande città, si reca ogni giorno in ufficio con la bicicletta o con i mezzi pubblici ed è recentemente stata in Burundi per un progetto di sensibilizzazione sulla violenza di genere attraverso l’uso della tecnologia.
L’ennesimo caso di sogni realizzati grazie ad un talento scappato all’estero? No. Serena vive in Italia, a Torino. Dopo due anni in Svizzera, dove tra le varie esperienze ha collaborato con un’agenzia dell’ONU, ha deciso di tornare insieme al suo compagno, lontano dall’Italia da dieci anni. “Stavo fuori ma tenevo i contatti – racconta – Ero via ma non completamente distaccata. Mi importava sapere cosa succedeva in Italia, sentivo di esserne parte”. Nonostante il lavoro, un buono stipendio, una vita avviata in un altro Paese, Serena non aveva mai escluso di rientrare. In Svizzera era difficile instaurare rapporti d’amicizia e mancava qualcosa: il contatto con persone attive e interessate al bene del proprio territorio.
Gli ultimi dati del rapporto della Federazione Lavoratori della Conoscenza divulgati a dicembre parlano di un’Italia inadatta ai giovani laureati. Chi sogna di continuare a lavorare nel mondo della ricerca lascia il Paese: 6 studiosi su 10 hanno avuto esperienze di formazione all’estero, il 43 per cento dichiara di aver lavorato fuori dall’Italia e il 18 per cento ha avuto almeno un impiego in un Ateneo oltre confine.
Secondo il rapporto Italiani nel Mondo 2014 della Fondazione Migrantes i connazionali all’estero iscritti all’Aire al primo gennaio 2014 sono 4.482.115. E i dati evidenziano un esodo che continua ad aumentare: nel 2013 sono stati oltre 94 mila gli italiani che si sono trasferiti in un’altra nazione, il 16 per cento in più del 2012. Di questi il 36 per cento erano nella fascia d’età tra i 18 e i 34 anni.
“Andare fuori fa bene – commenta Serena – ci sono molte opportunità per farlo e ancora pochi ragazzi che le sfruttano. È aria fresca che poi può tornare nel nostro Paese. Sono molte le esperienze innovative italiane nate da persone che hanno vissuto all’estero”.
Serena sa bene di cosa parla: un mese prima del suo ritorno, a luglio 2013, ha cominciato a tenere un blog per il mensile Vita. In Cervelli di Ritorno scrive di un Paese fatto anche dalle persone che come lei scelgono di tornare, di fare qualcosa di buono per l’Italia. O di chi non se n’è mai andato per concretizzare esperienze positive, utili e innovative. “Sentivo la necessità di raccontare, di cambiare narrazione. Di far vedere che c’è altro, non solo chi se ne va. Non mostro quanto è figo andare ma quanto può essere utile e interessante tornare o restare”.
La scelta le ha però attirato alcune critiche. In un’Italia spesso sfiduciata, non accogliente, che allontana i propri talenti non è facile raccontare storie positive: “Mi hanno accusata di essere tornata perché mantenuta- ricorda – La gente non crede che basti la passione per il tuo Paese per decidere di rientrare. Si vedono solo le difficoltà e non le opportunità”.
Il blog ha permesso a lei e a chi la segue di scoprire esperienze di valore, storie di cittadini che si sono impegnati attraverso associazioni, start up, aziende a migliorare il paese, il territorio, la regione in cui vivono. “Voglio valorizzare queste realtà. Bisogna essere testardi e fare qualcosa senza sperare che sia il Paese a fare qualcosa per te perché questo non accade. Ci vuole però un percorso che ti porti a scegliere di tornare, anche se questo significa fare dei passi indietro rispetto alle condizioni di vita che avevi all’estero. Si ricomincia seguendo il proprio ritmo”.
E nel ritmo di Serena le escursioni in altri mondi non si sono concluse con il ritorno in patria. In Italia sì, ma con lo sguardo puntato a cosa succede negli altri Paesi.
A novembre è stata un mese in Burundi con un collega di Ong 2.0 per offrire un servizio di consulenza ad un progetto del Comitato Collaborazione Medica di Torino per mappare, attraverso internet e la rete, i casi di violenza di genere e cercare di migliorare la conoscenza del fenomeno e l’assistenza. “L’obiettivo principale era mettere a disposizione le nostre competenze per la creazione di un sito e l’avvio di una mappatura dei casi conosciuti”.
I dati al servizio di chi vuole contrastare il fenomeno, nonostante la marcata stratificazione sociale e le difficoltà interne: “Utilizzare la tecnologia in progetti nel settore sociale mi piace molto. Vorrei sviluppare lavori in questo ambito anche a livello italiano. Il nostro Paese è una terra fertile per alcuni tipi di attività se si è curiosi, se non ci si dà per vinti e se si prova a fare ciò che si sogna. Voglio metterci il mio impegno e continuare a raccontare esperienze diverse così da alimentare una discussione. Senza la presunzione di trovare risposte o soluzioni, ma presentando un punto di vista alternativo”.
