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Insieme si può: nasce a Roma il co-working per mamme

Dal primo ottobre 200 metri quadri, un giardino intorno, un open space con 20 postazioni e un’area per i bambini, se ne potranno ospitare 12 entro i 36 mesi d’età. Ci sono altri due uffici, a disposizione per riunioni, corsi, una cucina, un parcheggio

Un incontro al “Cinemamme”, una chiacchierata in un bar, un concerto di musica al femminile. Intanto un pannolino da cambiare e i primi mesi di vita di un figlio da gestire. “Fra un incontro e l’altro organizzato dall’associazione Città delle mamme, il tema del lavoro sbucava sempre fuori”: le divisioni in ufficio, i problemi di chi l’occupazione l’ha persa dopo la nascita di un bimbo, perché il datore di lavoro non ha concesso il part time, il racconto di due lettere di richiamo ufficiali spedite a una lavoratrice dalla sua azienda per un’assenza dall’ufficio, dovuta a una chiamata improvvisa dalle maestre del figlio, il desiderio di fare ancora le cose che si facevano prima. Nasce così, fra una chiacchiera e l’altra, da una rabbia che diventa costruzione, ma anche dall’esperienza che “insieme ci si può provare”, l’idea del primo co-working romano con spazio baby, l’Alveare, inaugurato il 25 settembre nel quartiere periferico di Centocelle.
C’è un gruppo di donne, dietro e in mezzo a quel progetto, riunite in un’associazione La città delle mamme.

La vicepresidente, Serena Baldari, 35enne – che ha lavorato come ricercatrice e come archivista, prima di decidere di dedicarsi a tempo pieno al progetto del Co-working – racconta come si è avvicinata a quel gruppo, che ha incominciato a proporre iniziative nel quartiere romano Pigneto, nel 2009, con il Cinemamme, iniziativa che ha dato e dà la possibilità alle mamma di vedere un film al cinema anche durante il periodo dell’allattamento, portando il bimbo con sé. “Quando è nato il mio secondo figlio, nei primi mesi, quelli in cui può capitare di sentire di più la solitudine, avendo anche parenti lontani e allora amiche senza bimbi mi sono avvicinata a quella realtà, che piano piano si è allargata ad altri progetti”.

Come il “Mammacaffè”, momenti di incontri itineranti, in vari locali ogni volta diversi, in cui discutere di maternità e paternità.
Nel 2012 l’idea del co-working. Una delle socie ne parla con le altre: “Potremmo aprire un co-working, con uno spazio per i bambini e che sia anche una fucina di idee”. Si mettono a studiare, a capire, a immaginare come dare forma al progetto. “Abbiamo contattato le responsabili di Piano C, co-working milanese, che all’epoca erano già nella fase organizzativa e che ci hanno dato una mano”.

Contatti anche con le altre realtà simili sparse in Italia, per avere consigli, suggerimenti, fare rete. Il progetto viene scritto. La seconda fase è trovare i finanziamenti. Nello stesso 2012 partecipano a un bando, “Call for social ideas”, promosso da Italia Camp e Unicredit.Un anno dopo scopriranno che sono loro le vincitrici. Manca ancora uno spazio, però. Contattano l’assessorato capitolino allo Sviluppo delle periferie, guidato da Paolo Masini, che si dà da fare, trova uno spazio e lo mette a disposizione dell’associazione Città delle Mammae, affidandolo in concessione.

Dal primo ottobre quel luogo è aperto a tutti: nei 200 metri quadri, con un giardino intorno, c’è un open space, con 20 postazioni e un’area separata con una parete fonoassorbente, per i bambini, se ne potranno ospitare 12 entro i 36 mesi d’età. Ci sono altri due uffici, a disposizione per riunioni, corsi, una cucina, un parcheggio. Le prime iscrizioni sono già arrivate: due blogger informatici, una giornalista freelance, un designer. “Una psicologa, che ha un bambino piccolo e per un po’ è rimasta fuori dal mondo del lavoro, vorrebbe rimettersi al passo e ci ha chiesto lo studio una volta a settimana”.

Esistono forme diverse di abbonamento, più lungo è il periodo d’utilizzo, minore è il costo. Questo il presente. Per il futuro, che potrebbe essere immediato, bollono in pentola una serie di idee, tanto che Serena ha deciso di dedicarsi a tempo pieno all’attività del co-working lasciando il lavoro precario di archivista: fra le nuove idee, attivare un Gruppo di acquisto solidale per determinati prodotti, ad esempio i pannolini, di cui fare scorta, aprire un servizio lavanderia (la lavatrice c’è già), con una persona pagata per stirare, aprire laboratori pomeridiani anche per i bambini più grandi.

E poi, perché no, “si potrebbe pensare a una sorta di convenzione con le aziende. Se una mamma, al termine del congedo obbligatorio, potesse rientrare al lavoro, usando i nostri spazi, senza dover per forza andare nel suo ufficio, dove magari non esistono aree in cui tenere il bimbo, ne usufruirebbe sia lei, che l’azienda”, dice Serena. Un sogno, per ora, cambiare le regole che quasi tutte le aziende applicano. “Eppure – continua Serena – questo è il welfare. Bisognerebbe iniziare a capire che la situazione del lavoro così come è inquadrata ora è arrivata al capolinea. Servono altre soluzioni, altre alternative e possibilità. Noi siamo una di queste possibilità”.