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Differenza Donna, da 15 anni in aiuto alle vittime di violenza

"Quando sono entrata nell'associazione la percezione dell'immagine femminile era migliore, c'era un rispetto delle donne e delle loro competenze", dice la presidente Elisa Ercoli. "Adesso invece è possibile anche l'applicazione della discriminazione più sfacciata”

La donna che cerca aiuto in un centro antiviolenza impara a conoscere presto un segreto fondamentale: chi la accoglie è simile a lei perché tutte le donne, a prescindere dalla condizione, età, ceto sociale e cultura sono vittime della stessa società patriarcale, che opera e agisce una discriminazione costante nei confronti del femminile. Ne è convinta Elisa Ercoli, 44 anni, neo presidente di Differenza Donna, un’associazione nata nel 1989 per venire incontro alle esigenze delle donne vittime di violenza.

Nel Lazio e a Roma in particolare l’esperienza dei centri antiviolenza, nata da un preciso studio sul modo più efficace di aiutare le donne in difficoltà, è stata molto fortunata. “Dal 1989 ad oggi – ci spiega Ercoli – i progetti per tenere aperti questi importanti punti di ascolto e di accoglienza sono sempre stati rifinanziati, dimostrando una sensibilità al problema immutata. Non in tutte le regioni purtroppo è così, da pochissimo in Umbria abbiamo aperto due centri, uno a Perugia e uno a Terni, dove prima non c’era nulla”.

Elisa ha un percorso di vita che si intreccia fortemente al movimento femminista: “Ho conosciuto Differenza Donna mentre facevo l’università. Lì a Scienze Politiche ci fu dato un libretto che spiegava le riforme legislative fatte dalle donne e la battaglia per la modifica della legge sulla violenza sessuale, che ci mise ancora moltissimi anni a realizzarsi. Interessata a partecipare alle attività ho telefonato, poi ho fatto un colloquio e il primo anno di volontariato con la formazione”.

Gli incontri erano e sono ancora oggi impostati sull’autocoscienza, uno strumento che le donne hanno sperimentato e che consiste nel partire da sé. “Ero molto critica con l’analisi femminista ma nel tempo mi sono resa conto che le discriminazioni che subivano quelle donne che chiedevano aiuto erano violenze che non si verificavano perché realmente la società è impostata su privilegi maschili dati per scontati, che automaticamente limitano la partecipazione e lo spazio per le donne. È difficile riconoscere tutto questo se non si è realizzato un percorso che aiuti a prendere coscienza di questa situazione”, ci racconta Elisa.

Questo nella vita concreta di tutti i giorni e a livello personale cosa comporta? “La prima prova per me è stata la convivenza con il mio compagno”, spiega la presidente di Differenza Donna. “In un primo periodo ho avuto moltissime difficoltà perché c’era un perenne rischio di disparità e non ero disposta a prendermi cura di nulla. Quando sono diventata madre – ora ho tre figli – ho avvertito una pressione sociale ancora maggiore. Ho fatto un grande lavoro di contrasto a questo, un percorso di riappropriazione di me grazie anche alle altre compagne e alle donne dei centri. Nel tempo è stato possibile trovare nuovi equilibri e una nuova creatività nel vivere la famiglia e i suoi impegni”.

Il cambiamento è possibile solo se le donne iniziano a compierlo, ci spiega Elisa Ercoli: “Non me lo aspetto dagli uomini. Sono convinta che le nuove generazioni sapranno fare cose più belle, migliori delle nostre. Se hanno fatto gravissime esperienze è perché abbiamo dato loro gli esempi sbagliati. Quando sono entrata a Differenza Donna la percezione dell’immagine femminile era molto migliore di oggi, c’era un rispetto delle donne e delle loro competenze, oggi invece è tutto possibile, anche l’applicazione della discriminazione più sfacciata”.

Sono molte le attività dell’associazione Differenza Donna: accanto ai Centri antiviolenza infatti l’azione è concentrata sulla formazione per la prevenzione di abusi sulle donne, siano essi fisici o psicologici. Esistono quindi progetti nel mondo della scuola per educare a scoprire l’altra faccia delle relazioni, quella non prevaricante, non aggressiva, ma paritaria; corsi teorici pratici per formare operatrici per i futuri centri antiviolenza e corsi di formazione specializzata per operatori del settore, magistrati, forze dell’ordine, polizia municipale, psicologi, operatori sanitari e assistenti sociali.

Un aiuto specifico è stato poi pensato per le donne vittime di tratta, che vengono supportate in un cammino di ricostruzione della propria vita, attraverso occasioni di lavoro e una rete di amicizie sane. Differenza Donna pone l’attenzione anche sul mondo della salute, con il progetto Codice Rosa che cerca di fornire alla donna l’intervento più idoneo alla gestione del suo caso con percorsi celeri e dedicati di diagnosi e cura, interventi psico-sociali, segnalazione alle forze dell’ordine, tribunali, servizi sociali territoriali e collocazione in strutture protette. Per tutte le donne sono a disposizione consulenze criminologiche e il sostegno legale e psicologico di professioniste specializzate, oltre ad uno sportello antistalking. Nei casi di violenza più grave viene garantita un’ospitalità di emergenza a breve termine nei Centri antiviolenza.

“Non tutte le donne arrivano direttamente al Centro antiviolenza – ci spiega ancora la presidente di Differenza Donna – per farlo bisogna aver maturato una coscienza del problema e un desiderio specifico di dire no a quello che si sta vivendo. Per questo è nato il Centro Maree, pensato per le donne in difficoltà in modo più generico. Si avvicinano migranti, donne in gravidanza o che hanno problemi economici. Nel tempo abbiamo imparato che dopo un primo periodo e un primo approccio emergeva un trauma di violenza pregressa spesso rimosso, che aveva poi prodotto la situazione di difficoltà successiva”.

La chiave dell’approccio, in tutti i contesti, è quella di restituire alla donna la dignità e la consapevolezza di sé perdute: “La figura dell’operatrice non è assistenziale – ci spiega ancora Ercoli – e il progetto di vita che si ricostruisce insieme alla persona è sempre seguito da uno staff di specialiste, in modo che la donna non riproduca con un solo riferimento un rapporto di dipendenza simile a quello che ha avuto con il proprio compagno”.