
A trent’anni dall’assassinio del giornalista siciliano Pippo Fava per mano di Cosa Nostra, che mise a tacere per sempre il suo desiderio di verità, l’Apulia Film Commission, in un periodo di tagli ai fondi nazionali destinati alla cultura, ha finanziato le riprese di Nomi e cognomi, opera prima del giovane regista Sebastiano Rizzo, ispirata alle vicende del coraggioso cronista.
Un progetto cinematografico dal forte valore sociale, ambientato in Puglia e interamente prodotto e interpretato da un cast meridionale, che mira a rappresentare il riscatto di una terra martoriata dal malaffare. Il protagonista è Domenico Riva, interpretato da Enrico Lo Verso, giornalista assetato di giustizia che racconta verità scomode, inducendo i suoi concittadini a insorgere contro la criminalità organizzata. Al suo fianco la moglie, interpretata da Maria Grazia Cucinotta.
Camilla Cuparo, autrice del soggetto e della sceneggiatura nonché drammaturga e regista teatrale, ci ha dato qualche anticipazione sulla pellicola di denuncia proiettata in prima assoluta il 2 dicembre alle Giornate Professionali di Cinema di Sorrento, e la cui uscita nelle sale è prevista per marzo 2015.
Il lavoro della sceneggiatura è la base per la riuscita di un buon film. Da dove è nata l’idea?
Questo film nasce da un primo progetto, La ricotta sul caffè, cortometraggio ispirato alla storia di Pippo Fava sempre con la regia di Sebastiano Rizzo del quale ho scritto soggetto e sceneggiatura, e che ha vinto diversi premi, tra cui l’Agave di Cristallo 2014. Dopo aver realizzato il corto, ci siamo resi conto che quanto appreso dalla vicenda di Fava rappresentava un ottimo spunto da approfondire con un lungometraggio. Abbiamo pensato quanto dovesse esser stata incredibile l’esperienza umana e lavorativa per i suoi “carusi” dell’epoca – così venivano denominati i giovani collaboratori della redazione di Fava – e la pellicola ha iniziato a prendere forma. La stesura della sceneggiatura ha avuto un corso lungo e ha incontrato non pochi ostacoli organizzativi, peraltro prevedibili nella pianificazione di un’opera prima: ci sono voluti quasi due anni, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
Lei solitamente scrive soggetti teatrali. Ha trovato difficoltà in questa sua prima esperienza cinematografica?
Sono due processi completamente diversi. Da drammaturga teatrale, e successivamente regista, ho i miei tempi: per scrivere uno spettacolo ci impiego da sette mesi a un anno. Magari inizio a scrivere e poi abbandono per giorni o settimane, in una sorta di purificazione. Poi rileggo, ma l’idea di fondo resta chiara: so bene da dove parto e dove devo arrivare. Un film invece è un lavoro di squadra con tempi ben prestabiliti, e bisogna cedere a qualche compromesso di scrittura. In questa prima esperienza, terminato il mio lavoro, non ero sul set, non so come sono state modificate le mie battute, né cosa sia poi accaduto al montaggio. In America, invece, gli sceneggiatori siedono accanto al regista per tutto il tempo. Io non ho ancora visto il film ma mi fido di Sebastiano, ci conosciamo da tantissimi anni e ci unisce un profondo legame di affetto e stima.
Quanto ha attinto dalla storia di Fava per la stesura del soggetto di Nomi e cognomi?
Ho studiato tutta l’opera del grandissimo giornalista, drammaturgo e pittore, e sono rimasta affascinata da quest’uomo dalla penna incredibile e dall’animo pulito, mosso da un coraggio raro e da una grande etica professionale. Fava mi ha ispirata profondamente: non potevo raccontare l’intera storia della sua vita, così ho rivisitato solo alcune vicende salienti.
Una calabrese che scrive un film ispirato a un personaggio siciliano, ambientato in Puglia. Tre terre contaminate dalla mafia e da quell’omertà che spesso non permette di fare nomi e cognomi. Con quale stato d’animo si è prestata a questo progetto?
Da calabrese di Cutro (in provincia di Crotone ndr), che in un modo o nell’altro ha conosciuto la mafia e che è emigrata per realizzare un sogno, il progetto mi ha appassionata sin dal cortometraggio. Chi emigra dal Sud lascia lì sempre una parte del suo cuore. Ma non è facile, spesso mi assalgono i sensi di colpa, penso che forse sarei dovuta restare nella mia terra natìa per tentare di contribuire al suo riscatto sociale. Poi però mi rendo conto che anche con la mia penna e il mio lavoro posso fare parecchio. Non concepisco l’arte come puro intrattenimento, ma ritengo debba servire come testimonianza della nostra esistenza, del contesto in cui viviamo. È un dono che deve divenire anche responsabilità cosciente per porre domande e riflettere sui mali incurabili della società.
Una ragione per andare a vedere il film?
Sembrerà banale ma mi vien da rispondere: perché bisogna incoraggiare il cinema nuovo, fatto da giovani “sconosciuti” che si mettono in gioco senza l’aiuto di grandi produzioni, e da attori giovanissimi che si ritrovano accanto a grandi nomi del cinema italiano. E poi, soprattutto, perché parla di personalità forti e coraggiose che fanno nomi e cognomi, uomini di cui, oggi più che mai, il nostro Paese ha bisogno per educare i nostri figli alla legalità, alla lealtà, al coraggio, riscoprendo antichi valori morali.
