Cultura e spettacoli Politica ed Economia
Intervista, di ,

Costanza Quatriglio racconta un’operaia come “dea del lavoro”

Nel documentario Triangle, premiato al Torino Film Festival come Miglior film sul mondo del lavoro, la regista accosta l'incendio di un maglificio nella New York del 1911, ove morirono 150 operaie, al crollo della palazzina di Barletta nel 2011 costato la vita a cinque lavoratrici

La regista Costanza Quatriglio, autrice di film pluripremiati come L’isola, Terramatta e Con il fiato sospeso, ha appena vinto il Premio Cipputi 2014 per il Miglior film sul mondo del lavoro al Torino Film Festival con il suo documentario Triangle, che mostra due tragedie tra loro speculari – l’incendio del maglificio “fantasma” Triangle, con personale tutto femminile, avvenuto a New York nel 1911 e il crollo, nel 2011, della palazzina di Barletta in cui lavoravano in nero svariate operaie – per riflettere sulla condizione del lavoro oggi e sui diritti della classe operaia.

Estratta viva da quelle macerie, l’unica sopravvissuta, Mariella Fasanella, fa da narratrice nel documentario, raccontando il ritorno alla condizione preindustriale e la necessità di un nuovo inizio, poiché dalla New York di un secolo fa all’Italia di oggi poco sembra essere cambiato per le donne lavoratrici.

Com’è nata l’idea di Triangle?

Il progetto nasce qualche mese dopo il crollo della palazzina a Barletta. Mi sono ritrovata a guardare le immagini dell’incendio avvenuto nella fabbrica Triangle del 1911 e ho voluto accostarlo all’evento avvenuto in Italia ai giorni nostri. È stato un viaggio di andata e ritorno: guardando il passato, sono tornata a pensare al presente.

Una bella sfida.

Infatti dopo il primo momento di eccitazione per quella che mi sembrava una buona idea mi sono spaventata. Quale diritto avevo di accostare due storie così lontane nel tempo? Che cosa volevo dimostrare? Allora mi sono messa in cammino e ho cercato di capire quale potesse essere la chiave di lettura.

Al centro del documentario c’è una narratrice strepitosa, Mariella Fasanella.

Quando l’ho conosciuta, Mariella non aveva voglia di parlare con nessuno. Ho girato Triangle nel dicembre del 2012, un anno dopo il crollo, e in quell’anno lei aveva rifiutato ogni intervista. È stato un lavoro di avvicinamento progressivo costruito sull’ascolto, l’attenzione e la reciproca e progressiva acquisizione di fiducia, nonché di consapevolezza. Abbiamo ragionato non solo sulla morte e sul dolore ma anche sulla dignità della vita e del lavoro. Mariella ha preso la parola per dire a voce alta: io ci sono, sono viva. Io sono capace di lavorare con la macchina, con la quale ho un rapporto. Ha saputo riflettere sulle proprie potenzialità e sul valore del proprio lavoro, che è inestimabile.

La sua situazione di lavoratrice a cottimo priva di qualsiasi tutela, per come Mariella la racconta, sembra ancora oggi davvero alienante…

Mariella è una schiava contemporanea. In questo mondo post globalizzato in cui la filiera si è frammentata ed è venuto meno il conflitto sociale, molti si ritrovano intrappolati in questa schiavitù non conflittuale. Non mi ero mai posta la questione del lavoro operaio, ma con Triangle ho fatto un’immersione in quella che è la condizione esistenziale e materiale dell’essere umano sfruttato. Dal 1911 al 2011 non è cambiato molto, per il semplice fatto che lo sfruttamento è ancora oggi una prassi accettata.

È importante che le protagoniste di entrambe le tragedie siano donne?

Quando ho cominciato a lavorare sul film è stato automatico dimenticarmi che si parlasse di donne e pensare solo in termini di esseri umani, dei quali ho sentito il bisogno di sottolineare la sacralità. È vero che la tragedia della Triangle è stata una vicenda al femminile e ancora oggi è un argomento per le donne che si occupano delle questioni che riguardano il lavoro. Del resto, come si accenna nel film, il sindacato delle donne è stato fondamentale durante lo sciopero del 1909, che aveva messo profondamente in crisi la Triangle. Per questo una delle sopravvissute a quella tragedia sostiene addirittura che l’incendio fosse una sorta di vendetta, anche se vogliamo non credere che sia così.

Triangle parla di tutele necessarie e di diritti scomparsi, non solo per le donne ma per tutti i lavoratori.

Invece di sopravvivere in un mondo in cui il diritto non è veicolo di giustizia, come è successo ad esempio nel caso della sentenza Eternit, possiamo provare a immaginare degli strumenti di tutela che mettano al centro la dignità dell’essere umano come valore assoluto.

Nel crollo del 2011 quanto conta che Barletta sia una città del sud?

Barletta è una città italiana di oggi, una qualsiasi, il crollo poteva succedere ovunque, non solo nel Sud arretrato d’Italia. Ho voluto accostare le immagini della New York del 1911 a quelle della Barletta di oggi per mostrare da un lato la magnificenza della città americana in un momento di grandi espansione e di grandi speranze, dall’altro il depauperamento e il vuoto di ogni città italiana contemporanea.

In questo modo hai anche accostato passato e presente.

Il passato serve sempre per veicolare questioni che ci riguardano nel presente. Tantopiù che io non penso nemmeno al presente, ma al futuro. La parola chiave del documentario è “ricominciare”: Mariella Fasanella alla fine si propone di ricominciare, perché raccontare il passato per lei è stato catartico. E Mariella parla per tutte, per tutti, è la dea del lavoro. Per questo è l’unica ad apparire in primo piano, e a rimanere al centro per tutto il film.