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Margaret James, ufficiale sanitario per l’Onu in lotta contro l’Ebola

L'epidemia di Ebola che sta mettendo in ginocchio mezza Africa peggiora. Margaret James vive e lavora fianco a fianco dei malati, dirige la task force dedicata alla salute di mamme e neonati per conto dell'ONU in Sierra Leone. Per combattere bisogna informare

Tra le cartoline che arrivano dall’inferno di quella parte d’Africa martoriata dalla nuova epidemia di Ebola, ce n’è una che incoraggia a proseguire nell’azione intrapresa per fermare il contagio. Arriva dalla pagina Facebook dell’Unicef della Sierra Leone ed è firmata da una donna, ufficiale sanitario per la salute materna e neonatale per conto dell’agenzia Onu per la tutela dei bambini. Si chiama Margaret James ed è appena tornata da Kailahun, l’epicentro del focolaio di Ebola in Sierra Leone.

Il suo bilancio, dopo un mese trascorso tra la gente della provincia orientale del suo paese – lei è nata e vive in Sierra Leone – apre alla speranza che anche questa ennesima epidemia, la più grave dalla scoperta del virus nel 1976, possa essere fermata.

I bollettini dell’Oms e delle organizzazioni impegnate nella lotta al virus continuano a registrare l’escalation, inarrestabile, di morte (al 31 agosto, su 3685 casi, i decessi erano 1841), ma il messaggio di Margaret testimonia una possibile inversione di tendenza.

“All’inizio le persone non erano pronte ad accettare che Ebola è reale. Quando sono andata via la situazione era molto cambiata”, racconta con parole che più e meglio di tante analisi di medici e specialisti  fanno capire di cosa c’è bisogno ancora prima dei vaccini e della cura, pure fondamentali.

“La mobilitazione sociale ha fatto sì che le persone stessero comprendendo la malattia molto meglio”, spiega lei che ha voluto guardare in faccia l’orrore per poter meglio spiegare come vincerlo.

Prima di tutto, per restare sempre dalla parte dei bambini, alle donne come lei madri, consapevole, Margaret, che la battaglia va condotta principalmente contro credenze popolari, idee sbagliate e falsi miti difficili da sfatare di chi, tra la sua gente, è ancora convinto che lavarsi col sale possa rendere immuni dal contagio, che “Ebola sarà finita quando la stagione delle piogge finisce”, che “bevo una pinta di birra ogni sera, quindi Ebola non mi può toccare”, che “Ebola è solo il colera sotto mentite spoglie” (sono alcune delle dicerie diffuse in Sierra Leone riportate dall’Unicef locale).

Il clima è quello di una guerra, anzi per certi versi è pure “peggio. Durante la guerra abbiamo avuto avvertimenti quando siamo stati attaccati ma con Ebola non c’è nessun avvertimento, si può provare e proteggersi, ma con un errore si può essere nei guai”, racconta la volontaria Unicef.

Ecco perché “abbiamo bisogno di essere impegnati nella nostra risposta come nazione attraverso una buona sorveglianza, la sensibilizzazione e la gestione dei casi – conclude Margaret – Abbiamo bisogno di fare la cosa giusta” e la cosa giusta è innanzitutto collaborare con comunità, leader religiosi, organizzazioni  giovanili e altri partner per contrastare le false credenze sulla malattia e informare sempre più persone sulle pratiche igieniche utili.