Cultura e spettacoli Politica ed Economia
Intervista, di ,

Sabina Guzzanti a Venezia: “Faccio i nomi e i cognomi, per resistere all’illegalità”

Un film che prende posizioni e non ha paura di leggere la realtà. Esiste uno Stato buono, a quello dobbiamo credere. La speranza c'è nelle parole di Sabina Guzzanti alla Mostra del Cinema edizione 71. Nelle sale italiane dal 2 ottobre

Sabina Guzzanti ha uno sguardo che ti fulmina. Quando ti pianta gli occhi addosso, attenti e severi, sai che non ha tempo, voglia o inclinazione per dare retta alle cazzate, di qualunque genere esse siano. Alla Mostra del cinema di Venezia è arrivata con il suo ultimo film, La trattativa, “che sarebbe stato pronto già per la Mostra dello scorso anno, se non fosse per il fatto che le scene girate col green screen richiedevano un finanziamento del ministero dei Beni culturali e il ministero ce li ha negati. Di più: con la sfrontatezza del suo potere, ci ha negato anche l’interesse culturale. Io, che faccio parte di quel 50% dei cittadini che paga le tasse, mi sono vista negare ciò che è stato accordato ai Vanzina”.

La trattativa è il quinto film di Sabina regista, dopo Viva Zapatero!, Le ragioni dell’aragosta, Draquila e Franca, la prima. A differenza dei precedenti lavori, La trattativa è una ricostruzione quasi teatrale dei rapporti fra Stato e criminalità organizzata, basata su documenti, interviste e testimonianze audio e video, alcune delle quali sono inserite anche nella narrazione filmica. “Ma non ho solo messo in fila i fatti, ho creato un racconto pensato per trasportarti e coinvolgerti a vari livelli. Molti dei fatti, tra l’altro, erano sconosciuti anche ai giornalisti specializzati: Marco Travaglio, per dirne uno. Chi dirà che questo racconto è risaputo è solo un saputone”.

Come è nata l’idea de La trattativa?

Mentre giravo Draquila ho intervistato Massimo Ciancimino e ciò che mi ha raccontato mi ha fatto venire voglia di saperne di più sul rapporto fra la mafia e lo Stato che lui illustrava. Certo, ho dovuto stabilire a chi dare credito e a chi no. Con La trattativa dò la mia versione, e ci metto la faccia.

Certo che la storia italiana degli ultimi anni sembra un film in sé…

Sì, una spy story perfetta per il cinema, con tanto di depistaggi e false verità. Io di questa storia non sapevo quasi niente. Non è un semplice episodio di malcostume, ma un insieme di decisioni per imporre un corso diverso alla nostra democrazia. Ho dovuto studiarla, mettere insieme le tessere del mosaico, e trasformarla in narrazione.

Peccato che non ci pensi la politica, a collegare i puntini.

Perché non c’è nessuna volontà di cambiamento rispetto a quelle dinamiche, semmai un desiderio di continuità. Oggi la cultura dominante è quella mafiosa, e noi la accettiamo passivamente: l’abitudine alla raccomandazione, l’imperativo a non sputare nel piatto in cui mangi. E noi abbozziamo, perché ci sentiamo dei perdenti.

Questo però succedeva anche in passato…

La differenza è che in passato c’era quella mentalità, ma c’era anche altro, una fortissima opposizione da parte degli intellettuali, degli studenti, del cinema, persino della televisione. Oggi viene percepita come l’unico mondo possibile, senza alternative. E se manca la resistenza politica e intellettuale, la connivenza fra Stato e illegalità diventa sempre più sfrontata, e alla fine inarrestabile.

Quale vorrebbe che fosse la reazione del pubblico nel vedere il suo film?

Non voglio produrre indignazione ma fiducia nel ragionamento e nella logica, che ti aiutano a capire come funzionano certi meccanismi. Se non si sa come le cose sono andate veramente provi solo un generico senso di impotenza. Io faccio e i nomi, e anche i cognomi.

Ma lo Stato italiano è tutto da buttare?

No, esiste uno Stato buono, che ha sempre combattuto e creduto in un’idea diversa di governo. Ed è quello Stato buono che deve prevalere, senza arrendersi mai.