
Qualche settimana fa, a Trento, durante la presentazione del suo nuovo libro Il complesso di Penelope. Le donne e il potere in Italia (Il Poligrafo), la femminista Laura Cima, protagonista dei movimenti degli anni Settanta e Ottanta, ha rivolto un appello alle donne. Ha chiesto loro di mettersi in gioco e cercare di arrivare, sempre più numerose, alle “stanze dei bottoni”. “La politica nazionale si trova in un momento di staticità esasperante, succedono sempre le stesse cose – dice alla sala gremita – Tocca a noi donne cercare strade alternative, trovare nuove soluzioni: noi non possiamo ripeterci, a questo provvedono già gli uomini, che hanno pochissima creatività”.
Ma un appello la Cima lo rivolge pure agli uomini, perché anche loro devono fare la loro parte. “Per decenni le donne si sono arrovellate su una miriade di temi importanti: dalla maternità alla parità sul lavoro, dall’amore alla libertà, dal diritto di partecipare alla vita politica agli obiettivi da perseguire. È tempo che gli uomini riflettano a loro volta su questi stessi temi”.
Il complesso di Penelope è un testo prezioso per qualsiasi donna che voglia avvicinarsi alla politica, o anche solo conoscerla meglio. Partendo dall’attualità, la Cima racconta alla lettrice (e, speriamo, al lettore) episodi fondamentali della storia italiana, cruciali per l’emancipazione della donna e la costruzione di un sistema sociale più giusto. E lo fa in modo vivido e interessante, intrecciando sempre ricerca storica e sociologica con l’esperienza personale.
Donneuropa ha incontrato la Cima prima dell’inizio della presentazione del libro. Affabile, sorridente, parla in modo molto calmo e pacato. Ma trasmette il suo messaggio con chiarezza e decisione. Come a dire che per vincere le grandi battaglie non serve urlare forte, ma avere la forza delle grandi idee.
Perché ha voluto scrivere questo libro?
Per raccontare la mia esperienza e, soprattutto, per discutere alcune questioni politiche fondamentali con le nuove generazioni; con le giovani donne e i giovani uomini che vogliono occuparsi di politica in modo nuovo e che vogliono capire come impostare un rapporto con l’altro sesso, anche nella vita pubblica e in quella professionale, diverso da com’è stato per la mia generazione. Anche se tratto varie questioni, senza soffermarmi su un unico argomento, in realtà una tesi di fondo in questo libro c’è. Ed è che l’Italia sta così male, economicamente e politicamente, perché ha chiuso le donne fuori dai luoghi dove si prendono le decisioni. Può sembrare una tesi ardita, ma non lo è. Lo sarebbe se dicessi che il potere deve andare soltanto alle donne, cosa che non faccio. Anche se, dopo aver conosciuto di persona alcuni dei matriarcati ancora esistenti nel mondo, tendo a pensare che vivremmo tutti meglio se le società fossero gestite dalle donne.
Cosa chiede dunque?
Che ci sia un rapporto paritario, una collaborazione, che si lasci spazio alla creatività delle donne e che non la si soffochi sempre. E chiedo anche alle donne di assumersi la responsabilità di uscire allo scoperto, per portare avanti le loro idee, i loro progetti e le loro priorità. Che siano protagoniste, insomma. Purtroppo molte donne non riescono ad accedere alle stanze dei bottoni. E allora, magari per fare carriera, assumono atteggiamenti gregari nei confronti degli uomini, addirittura alleandosi con loro piuttosto che con le altre donne. Una strategia che comunque poi non funziona, perché gli uomini sono perfidi da questo punto di vista: quando non servi più, ti danno un calcio e basta. Ma è difficile far capire questo alle donne, soprattutto a quelle più giovani. Mi rendo conto che hanno la sensazione che il femminismo sia storia vecchia, che ormai siamo arrivate alla parità. A scuola, ad esempio, le ragazze sono molto più in gamba dei ragazzi e, anche sessualmente, si sentono più sicure rispetto ai loro coetanei. Poi però, una volta che approdano al mondo del lavoro, sbattono contro una casta di maschi che soffoca ogni cosa, e si rendono conto di com’è mal distribuito il potere.
A cosa si riferisce il complesso di Penelope del titolo?
Conosciamo bene il mito di Penelope, che fa e disfa la tela in attesa di un uomo. E purtroppo questo è l’atteggiamento che caratterizza molte di noi. Stiamo ad aspettare che gli uomini compiano le grandi gesta e, intanto, rimediano ai loro danni. Noi facciamo sempre così: dopo le guerre aggiustiamo tutto, dopo i litigi ricomponiamo tutto, insomma teniamo in ordine. È un atteggiamento che, per certi versi, non ci favorisce affatto. Anche se, per altri, ci regala la sensibilità necessaria per comprendere appieno una situazione complessa, e ci dà la capacità di non scoraggiarci. Lo vediamo anche dalle statistiche. Le donne muoiono ammazzate dagli uomini, non suicide. Sono gli uomini che dopo aver ucciso una donna, spesso, si suicidano. Ed è per l’incapacità di affrontare la sconfitta. E sono loro, gli uomini, a dover riflettere su questo.
C’è chi dice che il peggior nemico delle donne sono le donne stesse. Lei che ne pensa?
Io credo che molto dipenda dalla difficoltà delle condizioni in cui una donna versa a causa degli uomini. Se una si trova sempre schiacciata, senza potere e senza che il suo valore venga riconosciuto, in effetti può scattare una specie di invidia o di competizione nei confronti delle altre donne. Però, secondo me, dobbiamo iniziare a essere un po’ più generose, sia con noi stesse che con le nostre simili. Perché in realtà agli uomini perdoniamo molti più vizi, molte più incapacità. Da loro accettiamo e perdoniamo innumerevoli cose, per le ragioni più varie: per quieto vivere, per amore, perché forse sul lavoro pensiamo di non poter fare altrimenti. Credo che dobbiamo smettere di accettare questo trattamento da parte degli uomini e iniziare invece a essere più comprensive fra noi. Ricordandoci che è proprio questa condizione di soggezione che ci porta ad assumere questo atteggiamento gregario nei confronti degli uomini, invece che ad allearci fra noi.
A volte le femministe vengono presentate come frustrate e rabbiose. Lei cosa risponde a questo tipo di critiche?
[Ridendo] Io non sono mai stata né rabbiosa né frustrata! Anzi, devo dire che il femminismo mi ha dato grande forza. Mi ha resa capace di sottrarmi a qualunque ricatto da parte degli uomini, anche in politica. Io ho percorso la mia strada: hanno anche cercato di ostacolarmi, ma in alcune situazioni importanti ho saputo vincere, con l’aiuto di altre donne; e quando non ho più voluto stare in un certo contesto me ne sono andata. Il mondo è pieno di nuove sfide, una non ha alcun obbligo di stare a vita in una determinata situazione. Ma per fare questo occorre una grande forza interiore. E io penso che il femminismo, il confrontarmi con altre donne capendo che mi divertivo molto di più a collaborare con loro che con gli uomini, mi abbia dato questa capacità di tenere duro, di vincere le battaglie e anche di capire quand’era l’ora di cambiare strada.
