Politica ed Economia
Intervista, di ,

Selene Biffi, regina delle start up per lo sviluppo sostenibile

Ha puntato sui fumetti e sulla cultura dello storytelling in India e Afghanistan, dove chi si occupa di musica o poesia rischia la testa. E il suo modello di investimento in cultura potrebbe funzionare anche in Italia

“Finalmente abbiamo distribuito i nostri fumetti nelle bidonville con un elefante, Bhola, e con la banda musicale. La gente usciva dalle case. Sui fianchi di Bhola niente drappi, solo due poster, uno sull’accesso all’acqua potabile, l’altro sull’igiene personale. Volevo farlo da due anni, ma non c’ero ancora riuscita”.

Se avete pensato ai carretti siciliani con le storie dei paladini, non siete tanto lontani. E’ Selene Biffi che parla, imprenditrice sociale, bocconiana, brianzola di 31 anni. Una sorta di re Mida delle startup dedicate all’innovazione sociale. La prima, Youth Action for Change, fondata a 22 anni con un budget di 150 euro, oggi forma online giovani di 130 paesi su diritti umani e sviluppo sostenibile.

Da allora Biffi macina premi, fellowships e incarichi internazionali; è tra gli Young Global Leader del World Economic Forum ed è diventata la prima coordinatrice italiana del Major Group on Children and Youth della Commissione per lo sviluppo sostenibile dell’Onu. Le sue attività la portano in Afghanistan e in India, dove continua a mettere su start up. L’eccellenza imprenditoriale italiana? Eccola.

Raggiungiamo Biffi nel nord dell’India, alle porte di Varanasi, la città sacra nell’Uttar Pradesh, dove si trova per un progetto della sua seconda startup, Plain ink, “semplice inchiostro”. Semplice, ma tutt’altro che banale: il Rolex Award 2012 per l’impresa giovanile è suo.

Di cosa si occupa Plain Ink?

Crea fumetti e storie per insegnare in maniera immediata alle comunità dei paesi in via di sviluppo elementi pratici per migliorarne l’esistenza: dall’igiene personale alla salute pubblica, dalla gestione dei disastri naturali alla sicurezza alimentare. In Afghanistan abbiamo creato una scuola per cantastorie. In India invece realizziamo fumetti in inglese, hindi o semplicemente in forma grafica, perché pur essendo in uno dei Brics (Brasile, Russia India, Cina, Sudafrica, le cinque economie ‘emergenti’ tra i paesi in via di sviluppo, ndr), il 51% degli analfabeti del mondo vive qui. Parliamo di 400 milioni di persone. Il nostro obiettivo non è insegnare loro a leggere e scrivere, ma comunicare conoscenza in modo immediato. E’ un’azione complementare al lavoro di alfabetizzazione condotto da altre ong.

Durante la sua esperienza indiana aveva le spalle coperte, poiché i suoi genitori sono attivi in quella zona da 35 anni. A Kabul invece ha dovuto creare dal nulla una scuola per cantastorie, pensando a tutto, dai permessi alla tinteggiatura dell’aula. 

È così. È il progetto più difficile a cui ho lavorato. Sono tornata a Kabul quest’anno a marzo, dopo avervi soggiornato come consulente per l’Onu tra il 2009 e il 2010. La Qessa Academy, la scuola per cantastorie, recupera la tradizione orale del paese, che ha subìto un forte declino. Dopo l’invasione russa il folklore, la mitologia, l’espressione locale sono stati osteggiati; con i talebani siamo all’estremo: chi si occupa di musica o poesia rischia la testa.

Lavora al recupero delle radici culturali afgane dunque?

Da un lato recuperiamo una tradizione antichissima, antecedente all’anno mille, perché abbia un ruolo nella ricostruzione del paese, dall’altra riadattiamo all’Afghanistan attuale l’uso della narrazione come metodo di trasmissione di valori e informazioni. Gli studenti diventano i cantastorie di una nuova tipologia di racconti che contengono messaggi di sviluppo locale: campagne antimina, salvaguardia dell’ambiente, diritti umani nel contesto della cultura islamica. E questo è importante perché oggi, dopo 35 anni di guerra, quasi 8 persone su 10 non sanno né leggere né scrivere, il 68% della popolazione ha meno di 25 anni e la disoccupazione arriva al 40%. In una situazione del genere, tanti giovani senza opportunità finiscono facilmente reclutati tra i talebani.

Il 2014 sarà un anno cruciale per l’Afghanistan. La Qessa Academy avrà futuro?

Chiuso il progetto pilota, gli studenti hanno cominciato stage presso il ministero dell’istruzione o le ong afghane; stanno finendo di registrare sei storie che saranno diffuse alla radio da Kabul in tutto il paese. In primavera ci saranno le elezioni presidenziali ed entro fine anno il ritiro quasi totale delle truppe. E’ difficile prevedere quale sarà il riassetto geopolitico dell’area e quale il livello di sicurezza. Valutiamo due opzioni: corsi intensivi o una scuola alla radio da Kabul, per raggiungere gli studenti laddove si trovano.

Cosa dell’Afghanistan le è rimasto nel cuore?

Partaw Naderi, il più famoso poeta afgano vivente. Quando i ragazzi l’hanno visto arrivare in classe come insegnante di storytelling tradizionale ci hanno messo qualche giorno per crederci. Persona di straordinari umiltà e talento. Ha pagato la sua poesia politica con tre anni di prigionia nel carcere di massima sicurezza di Pul-e-Charkhi, dove sotto l’occupazione sovietica venivano torturati i dissidenti. Ma non ha perso la voglia di praticare e insegnare la poesia. Quando declama brani del Masnavi, il testo del XIII secolo di Rumi, uno dei principali libri della letteratura persiana, i ragazzi si incantano. Ma questo non arrendersi e questa dignità sono comuni anche nelle due generazioni che non hanno mai visto un giorno di pace. Una vera fonte d’ispirazione.

Qual è il suo modello di investimento in cultura?

In Afghanistan accadeva che presentandosi non come una delle ong che voleva mettere in piedi l’ennesima scuola elementare o un corso di scrittura per donne, ma una scuola per cantastorie, gli afgani non capissero. Chiedevano ‘Perché? A noi non serve questo’. Come dire che non c’era un’idea di innovazione. Allora ho pensato a quanto era successo nel 1935 con il New Deal: quando i programmi tradizionali non sembravano ottenere il successo atteso per la ripresa economica, si decise di puntare sul recupero dell’arte e della cultura viste come il collante per tenere insieme il paese. In questa prospettiva la scuola per cantastorie appare meno bizzarra. Ci vuole un’ispirazione diversa.

Il discorso varrebbe anche in Italia. E infatti puntare sulla cultura attraverso lo storytelling è il cuore della sua nuova (e già premiata a ottobre allo Smau di Milano) mission impossible: la start up Spillover.

Beh, siamo passati dalle storie tradizionali afgane al racconto delle scoperte scientifiche. Vorremmo convincere attraverso dei videogiochi i ragazzini europei, e quelli italiani in particolare, che la scienza è tutt’altro che noiosa. E passare ad un settore così diverso non ci spaventa, in fondo l’innovazione sociale è una sorta di ricerca e sviluppo per il terzo settore.

Sarà un caso che Selene, in greco, vuol dire anche ‘colei che porta la luce?.