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Per il 2020 l’Europa vuole il 40% di donne nei Cda. Col sostegno dell’Italia

La Commissione europea ha messo sul piatto una proposta sulla parità di genere con un obiettivo ambizioso: portare al 40% la percentuale femminile nei Cda delle società quotate entro il 2020. Ma, come al solito, ci sono clausole: “La prima riguarda il fatto che non applicheremo rigide quote quantitative, ma chiederemo maggiore trasparenza nei criteri di selezione”, dice Andreas Stein, capo dell’Unità per la legislazione sulla parità del dipartimento di Giustizia della Commissione europea, e uno dei relatori principali del convegno Promoting gender balance in decision making che si è svolto ieri a Roma presso la presidenza del Consiglio dei ministri.

La seconda clausola si riferisce alla flessibilità nell’applicazione della legge. “Se nei paesi membri esistono già misure per favorire l’eguaglianza di genere che funzionano, anche per quel che riguarda la presenza femminile nei Cda, quei paesi non dovranno per forza uniformarsi alle direttive della Commissione. Il nostro è un approccio pragmatico”. “Mentre il Parlamento europeo ci ha già assicurato un forte sostegno, la nostra posizione è più a rischio nel Consiglio”, rivela Stein. “Per questo abbiamo bisogno che una forte presidenza italiana ci dia una mano”.

A sorpresa però, in un videomessaggio inviato al convegno dal Parlamento europeo, Alessia Mosca mostra di essere su posizioni ben più ardite di quelle della “pragmatica” della Commissione europea: “Nel semestre di presidenza italiana dell’Unione abbiamo intenzione di promuovere una direttiva per estendere a tutta l’Europa la legge Golfo-Mosca e armonizzare in questo senso le normative comunitarie sull’argomento”.

Dunque l’Italia (o almeno una delle due promotrici della legge) sembra più coraggiosa e più radicale dell’Europa, almeno per quanto riguarda il tema delle quote di genere. Il messaggio di Alessia Mosca, infatti, non sembra disposto a fare eccezioni né a limitarsi a fornire garbati solleciti, appellandosi meramente ad una trasparenza nella selezione dei direttivi aziendali.

Forse perché la legge Golfo-Mosca (e il sostegno dell’attivismo femminile, come ha sottolineato la platea del convegno) ha funzionato bene in un paese come il nostro, in cui, come fa notare l’ex ministro Elsa Fornero, anche lei relatrice all’evento, “se ad un dibattito vengono inviatati a discutere solo uomini nessuno degli organizzatori si accorge che è un’anomalia”. Dal 2011, anno in cui è stata approvata la normativa secondo cui gli organi sociali delle società quotate in scadenza devono essere rinnovati riservando una quota pari ad almeno un quinto dei propri membri alle donne, ad oggi la presenza femminile nei Cda è raddoppiata, come documenta il progetto Women Mean Business and Economic Growth, i cui risultati parziali sono stati presentati al convegno da Paola Profeta e Giulia Ferrari.

E non si tratta solo di una variazione numerica, dice Profeta. “Stanno cambiando anche i profili sia degli uomini che delle donne che compongono i nuovi Cda, facendo spazio a persone con qualifiche superiori e più giovani. La legge sulle quote ha dunque un effetto indiretto importante: un rinnovamento progressivo delle elite, che va a sbloccare un ‘equilibrio’ prestabilito”. Da secoli, verrebbe da aggiungere.