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Quella ridicola idea del web cattivo e del mondo buono

Vi racconto una storia emblematica di quello che significa concretamente parlare di “discorsi d’odio” (hate speech) sul web. Lo dico in Italiano e mi scuseranno gli anglofoni. Da sei anni sono presente personalmente sui social network (Facebook e Twitter).

Ho assistito e reagito a tanto di quell’odio che se potesse essere trasformato in energia, non pagherei più bollette. Le ragioni? Appartenere al genere femminile, essere lesbica ed essere considerata membro della casta “a vita”: anche se tecnicamente non ne faccio più parte, rimane una macchia indelebile che neanche l’hacker più prodigioso potrebbe cancellare.

Su 30 anni di onorato lavoro, i 5 in Parlamento (al contrario di tanti) mi hanno etichettata. Continuano ad insultarmi perché secondo loro, anche se non siedo in Parlamento, voto la fiducia a Letta. A volte m’insultano anche se dico appena “buongiorno”.

Ho avuto reazioni diverse di fronte alla marea di insulti: fastidio, orrore, indifferenza, indignazione. Ho denunciato alle autorità (quando erano minacce di morte), bloccato, retwittato, risposto con ironia. Onestamente, nulla di tutto questo mi è scivolato addosso. Ho solo imparato a farci i conti, scegliendo l’ironia come l’arma più potente e più efficace.

Altrettanto spesso, va detto, sono stata aiutata da migliaia di amici in rete ad isolare i violenti. Tengo a precisare che non sono una blogger, né una studiosa o un’esperta di comunicazione web e di new media. Sono un’autodidatta, consigliata talvolta da amici esperti, ma in modo saltuario e solitamente sarcastico (della serie: dovevo leggere tra le righe).

Detto questo, vengo al punto: il web, i social network sono un mondo a parte? Mi sento di sostenere con forza che no, non lo sono. Il “popolo del web”, meglio detto “il popolo della rete”, non esiste: siamo noi, quelli che incontri per strada, il tuo amico carissimo, il tuo parrucchiere (non necessariamente gay), il tuo medico, il tuo vicino di casa, il tuo ex.

È capitato migliaia di volte in questi anni passati in giro per l’Italia, di incontrare donne e uomini che mi si avvicinavano dicendo: “Ti seguo su Fb o su Tw”, e mi guardavano come se ci conoscessimo da sempre (e probabilmente tra loro c’erano persone che mi avevano insultata). Avevano ragione, avevamo parlato spesso sui social, ma le foto dei profili sono tremende, non riesco a riconoscere quasi nessuno (Sergio Ragone ne ha fatto le spese).

Care amiche neodeputate che avete conosciuto il bello (“I like”) e il brutto (gli insulti) dei social, vi chiedo di fermarvi a riflettere prima di rischiare una crociata contro il fantomatico web. Sarebbe molto facile dire “è tutta colpa del web”, sarebbe semplice fare leggi contro i cattivi della rete e vivere solo di “mi piace”. Chi non lo vorrebbe?

Purtroppo la realtà è più complessa. Se “la rete siamo noi”, cittadini di questa nazione e di questo tempo, forse è meglio e più efficace interrogarci su chi siamo o cosa siamo diventati (o siamo sempre stati?). “La rete è sessista e misogina”, certo, ma non più del paese, giuro. La rete è omofoba? Lo è, e non lo è, tanto quanto gli italiani. Abbiamo condotto grazie alla rete molte belle battaglie, e la coscienza civile è cresciuta anche attraverso il web. La rete divulga ed amplifica ciò che già esiste, ciò che già pensiamo e siamo.

E allora ve lo chiedo (non solo io) per favore: non pensiamo che la rete sia causa o aggravante del sessismo, non usiamola per fare del vittimismo “femminile”. O per nascondere altro. È caratteristica della sinistra l’incapacità di comprendere i cambiamenti, che possono essere brutti e belli, ma vanno comunque governati con intelligenza, non con il “tintinnio di manette” che tanta sinistra va suggerendo da molti anni, rinnegando la sua meravigliosa cultura garantista e liberale. Ve lo dice una persona che potrebbe salire sul carro della censura, essendo stata messa sotto pressione ogni giorno soprattutto perché sono una donna lesbica e libera, anche a sinistra e a ultrasinistra.

La misoginia, l’omofobia, il razzismo sono parte di questa nostra Italia, anche grazie all’arretratezza delle leggi (off-line) ma ne sono parte anche le tante voci di donne e uomini che la combattono. Mi piacerebbe che ogni tanto i giornali riprendessero i tweet, le campagne e i post su Facebook contro l’inciviltà. Guarda caso, ai media tradizionali piace mettere in luce il negativo, che forse fa vendere di più.

In questi giorni è tutto un interrogarsi sull'”hate speech“, sull’odio sulla Rete: come contrastarlo, come combatterlo. È giusto e sacrosanto capire e cercare soluzioni non facili ad un fenomeno nuovo, nel senso che è nuovo lo strumento e sono nuove le modalità. Ma, a parer mio, è sbagliato pensare che l’odio esiste perché esiste la Rete. E che basta aumentare le pene per risolvere tutto. Siamo un paese imbarbarito da tanti punti di vista, ma la rete è lo specchio di questo imbarbarimento. Bisogna agire alla radice.

Cara Alessandra Moretti, a te e alle altre deputate gli insulti li hanno fatti dal vivo alla Camera. E allora, l’odio va contrastato fuori dalla Rete soprattutto, perché se censuriamo, se sanzioniamo solo la Rete, l’odio rimane indelebile e pericoloso come ora. Scompare solo dai nostri occhi. Applichiamo le leggi che ci sono contro la violenza e l’odio. Sblocchiamo le leggi anti-odio insabbiate: dall’omofobia al divorzio breve su cui siete impegnate.

Cambiamo soprattutto la politica, diffondiamo la cultura (leggere, leggere, leggere). Giovani ed anziani, uomini e donne usano la rete e i social media in modo approssimativo o insufficiente. Aiutiamoli a farlo meglio. Agiamo per valorizzare la vocazione migliore della rete, quella di uno strumento straordinario per costruire cultura critica, educazione, collaborazione e senso comune. A partire dall’educazione digitale nelle scuole per esempio.

Internet è un po’ quel che fu la lavatrice per le donne: un grande strumento di emancipazione. Guardiamolo così anche noi donne senza cercare un ruolo di vittime che apparentemente ci rassicura, ma che rafforza gli uomini, e li aizza.