
Un ristorante con un nome che è un intero racconto. La storia de Le Formichine di Rovereto è in quell’insegna apparentemente dolce e fiabesca, che però parla di lavoro, tenacia, dolore e riscatto. Questo non è una semplice gastronomia-tavola calda dove si possono gustare prelibatezze, ma un progetto sociale dedicato alle donne che hanno subito violenze.
Il locale è stato inaugurato lo scorso 15 novembre ed è il frutto di un progetto avviato nel 2009 dalla Fondazione Famiglia Materna di Rovereto e dalla cooperativa Punto d’Approdo. L’obiettivo è il reinserimento sociale e nel mondo del lavoro di donne in difficoltà. “Vogliamo dare loro un vero impiego. Tutte sono pagate con una borsa di lavoro – spiega Anna Michelini, sociologa e direttrice di Famiglia Materna – dopo il percorso di formazione vengono assunte in tirocinio da ristoranti e imprese locali che hanno aderito all’iniziativa. Abbiamo voluto unire l’aspetto sociale a quello economico, per dare risposte concrete. È stato un lavoro di squadra”.
Tutto è cominciato con un semplice laboratorio di cucina “perché il ristorante all’inizio era troppo complicato”, precisa la direttrice, poi sono arrivati il catering e le collaborazione con le mense.
Oggi tra i tavoli e i fornelli de Le Formichine, “dove in un edificio completamente ecologico gustano piatti a chilometro zero”, lavorano 14 donne dai 22 ai 50 anni, metà straniere e metà italiane, coordinate da uno chef professionista. “Abbiamo fatto un accordo con l’Istituto Alberghiero locale – racconta Michelini – proprio perché le nostre assistite sviluppino una professionalità ben definita”. Le storie delle “formichine” di Rovereto, sono tante e diverse, tutte però accomunate dalla sofferenza e dalla voglia di un nuovo inizio. C’è chi ha subito violenze, chi è stata vittima di tratte per la prostituzione, chi non è riuscita a vincere un periodo di depressione, chi ha subito esclusione sociale a causa della sua etnia, come le Rom.
Tutte sono qui per imparare un nuovo mestiere, ma anche per mantenersi economicamente, per riavere la dignità e l’autostima. “Grazie al lavoro – precisa Anna Michelini – le nostre donne possono ritrovare la fiducia in sé stesse che hanno perso, o che, in alcuni casi, non hanno nemmeno mai avuto perché da sempre subivano soprusi e abusi. Solo così possono scoprire le proprie ambizioni”. Grazie al progetto si apprendono anche i prerequisiti al lavoro: gli orari da rispettare, l’impegno, il sapersi presentare. Cose che appaiono scontate, ma che non lo sono per chi a lungo ha vissuto ai margini della società. Come Miriam, ragazza marocchina oggi 18 enne, che arrivò alla Famiglia Materna a 14 anni con un figlio nato da un matrimonio combinato. Padre e marito la picchiavano da sempre. Nella vita pensava di poter fare al massimo la domestica e dava tutti i suoi guadagni alla famiglia di origine. Oggi ha cambiato vita, grazie al progetto lavora come commessa e lo stipendio lo tiene per lei e per suo figlio. “Su ogni ragazza scommettiamo, nel senso migliore del termine, noi e gli imprenditori locali. Ogni assunta, ogni donna che cambia vita e entra a tutti gli effetti nel mondo del lavoro è un grande traguardo”, ricorda la responsabile di Famiglia Materna. “Cerchiamo di assecondare le inclinazioni e le abilità di ognuna, qualcuna è stata assunta anche da noi”.
Il ristorante è sempre aperto a pranzo in settimana e, su prenotazione, anche a cena nei weekend. “Stiamo andando bene, a mezzogiorno siamo sempre pieni e facciamo prezzi concorrenziali”, dice con soddisfazione Anna Michelini. Il progetto, coordinato anche dalla psicologa Maria Luisa Bonura, coinvolge in totale 90 donne. Quelle con più problemi, che non sarebbero in grado di reggere i ritmi di un impiego fisso, lavorano in un orto sociale in cui vengono prodotte erbe officinali e conserve.
Ognuna ha i suoi ritmi, i suoi spazi, la sua storia, che da qui viene riscritta, anche grazie alla cooperazione e alle risorse messe a disposizione da diverse realtà.
