
Martina Fuga è nata a Venezia, si è laureata in Lingue Orientali all’Università Ca’ Foscari di Venezia ed è stata direttore generale di Arthemisia, una società di produzione mostre. Ha organizzato tra le altre le mostre di Hokusai (Milano 1999), Rothko (Roma, 2007), Hopper (Milano, 2009). Dal 2010 è professore a contratto del Master “Progettare cultura” dell’Università Cattolica di Milano e dal 2012 amministratore di Artkids, un progetto che si propone di avvicinare i bambini al mondo dell’arte.
Dal 2012 collabora con Ballandi Arts alla redazione di documentari d’arte in onda sui SkyArte. Appassionata di running, è sposata con Paolo Orlandoni, portiere dell’Inter, da cui ha avuto tre figli Giulia, Emma e Cesare. Emma è affetta dalla sindrome di Down e l’esperienza di questa maternità, che Martina vive con passione e amore, l’ha portata ad impegnarsi nel mondo dell’associazionismo – è presidente di Pianetadown Onlus, membro del comitato di gestione del CoorDown, e consigliere di AGPD Onlus Milano – e a raccontare la sua storia. È autrice della pagina facebook Emma’s friends e del blog Imprevisti e ha scritto un libro, Lo Zaino di Emma.
Com’è nata l’idea di scrivere Lo Zaino di Emma?
Ho cominciato a scrivere di Emma per districare un nodo che avevo nell’anima, un nodo fatto di amore, di accoglienza, ma anche di rabbia e di dolore. Ho cominciato a scrivere di lei e di come mi sentivo in un forum di genitori, poi in un blog privato, una specie di diario online, poi in una pagina facebook a lei dedicata. Io scrivevo per me, ma molte persone si rispecchiavano nei miei sentimenti, anche persone che non avevano figli disabili. Avrei continuato così, se non fosse che un editore mi ha cercato e mi ha proposto il libro. Mi sembrava troppo, un conto era scrivere un diario personale, un conto era consegnarlo al mondo sotto forma di libro. Ma mentre cercavo un senso, la prima stesura era già pronta.
È la metafora che uso per spiegare ai bambini, prima di tutto ai suoi fratelli, cos’ha Emma: dico loro che è come se Emma avesse uno zainetto pesante sulla spalle, che le complica un po’ le cose, le fa fare più fatica in tutto, ma non c’è nulla che non potrà fare se lo vorrà. A volte quello zaino contiene solo il necessario, a volte ha un’attrezzatura più pesante, dipende dall’impresa che dovrà affrontare: una gita al parco con due panini e una coca o una scalata in montagna con scarponcini, corde e picchetti, più l’avventura sarà impegnativa più il suo zaino peserà e lei dovrà metterci più impegno, farà fatica.
Martina, com’è cambiata la tua vita da quando sei diventata mamma e poi madre di una bambina con la sindrome di Down?
Diventare mamma ti cambia sempre: fai spazio dentro di te, perché non c’è più posto solo per te e per chi sei e quello che vuoi. Dal momento in cui diventi mamma c’è un posto fisso occupato da tuo figlio o dai tuoi figli. Quando nasce un figlio con la sindrome di Down non cambia molto, le sensazioni solo le stesse, la priorità è sempre il figlio, solo che tutto viene amplificato alla massima potenza: preoccupazioni, impegni, pensieri, gioie e dolori.
Quali sono i pregiudizi maggiori che le persone hanno nei tuoi confronti in relazione a tua figlia?
Personalmente vivo una realtà molto positiva. Non mi sono mai sentita davvero vittima di pregiudizi. Emma è ben integrata nella società e a scuola, abbiamo molti amici con cui condividiamo la nostra quotidianità serenamente. Le vere difficoltà le riscontro quando entro in contatto con una realtà nuova, esco dalla routine e da ambienti familiari. Allora sì, noto gli sguardi delle persone farsi diversi, a volte curiosi, a volte stupiti, a volte compassionevoli. Mi sento addosso alternativamente l’etichetta della mamma irresponsabile che ha messo al mondo una bambina disabile nel 2000 quando con un esame avrei potuto sollevare il mondo da questo impegno, oppure uno sguardo di ammirazione perché vivo serenamente la mia condizione di mamma. Detesto entrambi gli sguardi, non voglio né uno sguardo speciale, né un giudizio, vorrei solo essere vista come una mamma e poter vivere la mia vita: se è vero che non puoi scegliere la vita da vivere, almeno puoi sceglierecome viverla.
Come sei riuscita a gestire nel tempo il rapporto tra lavoro e famiglia?
Ho un marito molto collaborativo e partecipe, che mi ama e mi rispetta come donna prima che come madre. La sua vicinanza e il suo aiuto pratico mi sono sempre stati di grande sostegno. Ad un certo punto della mia vita professionale ho deciso di dedicarmi ad altre forme lavorative più flessibili per poter avere più spazio per i miei figli e per il nostro rapporto di coppia. Non lavoro di meno, anzi forse di più, ma in orari diversi e meno rigidi, Con molte acrobazie, sembra funzionare.
Cosa ti ha insegnato Emma?
Si dice sempre che i nostri figli ci insegnano… e questo vale per tutti i figli. Anche Giulia e Cesare mi hanno insegnato molte cose: i figli ti mettono in discussione continuamente e per questo si crea lo spazio per imparare cose nuove. Emma in particolare mi ha insegnato due cose: la prima è una nuova misura del tempo. Io sono una frettolosa impaziente e intollerante, con lei ho dovuto imparare a essere più paziente e ad adeguarmi a ritmi di vita e di apprendimento totalmente nuovi, ad apprezzare la lentezza e quanto nella lentezza si possano notare dettagli sconosciuti, che prima mi perdevo. Poi Emma mi ha insegnato a essere più spontanea, lei è sempre sul presente, non rimugina il passato e non si proietta verso il futuro, è sempre sul pezzo, su quello che sta vivendo, e così non si perde il bello dello vita. Io sto imparando…
Come la immagini donna adulta? Cosa desideri per lei e di cosa hai maggiormente paura?
Non la immagino in verità, così come cerco di non immaginarmi nessuno dei miei figli. Voglio che facciano la loro strada e costruiscano il loro progetto di vita secondo i loro interessi e le loro attitudini. Che siano il meglio di quello che possono essere e che siano felici, e credo che questo sia un futuro possibile anche per Emma.
La presenza di una figlia con la sindrome di Down ha cambiato il rapporto di coppia con tuo marito?
Penso che trovarsi di fronte a un “imprevisto” nella vita come la disabilità di un figlio possa mettere seriamente in discussione il rapporto di coppia oppure unire saldamente. Nel mio caso credo che Emma ci abbia maggiormente uniti, c’è stata fin dall’inizio una condivisione totale, sia emotiva sia pratica. Paolo è un marito e un padre molto presente e con lui ho condiviso ogni passaggio della crescita di Emma, le sue difficoltà e le sue conquiste. Siamo entrambi molto sereni e quando uno è stanco, c’è sempre l’altro che ‘tira il carretto’ per tutti e due. Quello che conta poi, avendo tre figli, è non perdersi mai di vista, come coppia: il nostro impegno è non farlo, perciò cerchiamo di ritagliarci dei momenti per noi, grazie anche all’aiuto dei nonni.
