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Un alveare per fare la spesa, tra chilometro zero e socialità

Grazie a quattro ragazzi tra i 26 e i 30 anni, arriva in Italia L’Alveare che dice Sì,  costola della madre francese La Ruche qui dit Oui, che mette in rete, attraverso Internet, produttori e consumatori del territorio per incentivare scambi e conoscenza

Un bar di città che per una sera a settimana si trasforma in un mercato, con cassette di frutta e verdura, formaggi freschi e carne di allevatori locali. Tutta opera dell’organizzazione L’Alveare che dice Sì, nata a Torino a ottobre, prima costola della madre francese La Ruche qui dit Oui.

Il progetto: mettere in rete, attraverso Internet, produttori e consumatori del territorio per incentivare gli scambi, la socialità e la conoscenza delle ricchezze culinarie della propria zona.

L’idea nasce e si sviluppa in Francia nel 2010-2011. Si realizza un sito che serve da collettore e connessione tra i produttori e i cittadini che vogliono acquistare direttamente dalle aziende locali.

Il portale gestisce le vendite e rilascia fattura. I gestori dei punti di scambio delle merci – gli alveari – si fanno carico di organizzare i momenti d’incontro, che possono avvenire anche in ristoranti, librerie. Qualsiasi tipo di locale può andare bene.

Da 24 alveari nel 2011 in Francia si passa agli oltre 600 nel 2014 tra lo Stato transalpino e il Belgio.
L’organizzazione guadagna fama e nome internazionale: The Food Assembly. Nel 2014 viene fondata anche in Spagna, Inghilterra, Germania e ora in Italia.

I numeri evidenziano la crescita esponenziale: i produttori attivi nel 2011 erano 103, oltre 2300 nel 2013. Stesso aumento per i membri attivi passati da 840 a 60mila in soli tre anni.

Gli ordini conteggiati lo scorso anno sono stati oltre 207mila per un giro d’affari totale che solo in Francia e Belgio ha superato i 9 milioni di euro. Nel 2011, anno della fondazione, si attestava appena sui 4mila euro annui.

Quattro ragazzi tra i 26 e i 30 anni hanno deciso di dare vita all’organizzazione anche in Italia e si stanno preparando a gestire lo sviluppo degli alveari nei prossimi mesi. Sono Claudia Bonato per il settore marketing e comunicazione, Jacopo Aversano responsabile della gestione degli alveari, Domenico Rago coordinatore dei produttori e Eugenio Sapora coordinatore del progetto Italia.

“Abbiamo già ricevuto manifestazioni d’interesse dalla Sicilia e dal Lazio – riferisce Claudia Bonato, tra i fondatori – Ci concentriamo sulla nascita dei primi gruppi qui nel torinese e poi apriremo al resto del territorio”.

In Italia il progetto è solo agli esordi ma sono già sei le richieste di apertura di alveare in attesa.
Secondo l’ultimo censimento dell’agricoltura del 2010 nel nostro paese sono più di 1 milione le aziende agricole e sono presenti più di 217mila allevamenti di diversi tipi. Numeri che danno l’idea della grandezza del mercato italiano e delle possibilità di sviluppo della rete.

Per fondare un gruppo è necessario raccogliere un minimo di sei produttori, di cui almeno uno di frutta e verdura. I consumatori iscritti all’alveare devono essere minimo 40 e le aziende devono far parte di un’area non superiore a un raggio di 250 chilometri. “In Italia si superano i confini regionali – ammette Bonato – Sta all’intelligenza dei gestori scegliere e prediligere il locale”.

Claudia e gli altri tre fondatori avranno il compito di valutare chi si proporrà per gestire un alveare e anche di cercare aiuti per una diffusione capillare dell’iniziativa.

Dovranno inoltre controllare il livello dei produttori iscritti, i membri più tutelati: sono loro a fissare il prezzo dei prodotti, a stabilire un tetto minimo di acquisto e a guadagnare l’84 per cento sulla vendita, senza intermediari.

L’8 per cento è incassato dal gestore che si è fatto carico dell’organizzazione dell’incontro dal vivo per lo scambio e la percentuale restante è il guadagno di chi si occupa del sito.

Le divisioni sono stabilite da statuto aziendale e sono vincolate: non potranno mai essere modificate.

L’unione della rete e dei social con il territorio, i suoi prodotti e i suoi cittadini è la vera innovazione.

Attraverso il portale i produttori possono comunicare con i consumatori per stabilire prezzi di vendita, raccontare il loro lavoro, far conoscere una realtà.

Da parte loro gli iscritti possono consultarsi e scambiarsi esperienze e opinioni attraverso un blog e le pagine Facebook e Twitter dedicate.

“Si va oltre il concetto dei gruppi di acquisto solidale, spesso poco organizzati – precisa Bonato – Le vendite e gli scambi avvengono una volta a settimana permettendo di fare una spesa famigliare e non di grandi quantità. Inoltre è fondamentale l’aspetto sociale: conoscersi, condividere esperienze e capire il lavoro del produttore e le necessità di chi acquista”.

La mission dell’organizzazione è promuovere l’alta qualità del cibo locale, creare un impatto economico positivo sui territori e migliorare il rapporto tra gli individui.

In Europa ogni mese ci sono dalle 20 alle 50 nuove aperture e si contano 75mila clienti l’anno.
“Nei luoghi dove l’organizzazione è più sviluppata è stato stimato un aumento dell’occupazione dell’8 per cento – aggiunge Bonato – Questo è possibile per diverse ragioni. C’è bisogno di personale che gestisca la rete quando si ingrandisce. Per l’Italia si dovrà pensare a un paio di sedi distaccate al centro e al sud. E poi aumenta la socialità nei locali che si scelgono come luoghi di scambio, si aiutano i produttori a fare girare le loro aziende. L’alveare innesca un ciclo virtuoso”.