Lifestyle
Personaggio, di ,

Le tagliatelle di Anna Maria Monari, tra la via Emilia e il West

Un’attitudine formidabile per la pasta e un’inclinazione partigiana alla libertà, dirige da più di trent'anni la mitica trattoria di Bologna che porta il suo nome. Il suo ragù ha commosso Bernardo Bertolucci e meritato l’encomio enfatico di Vittorio Gassman

Viene dalla nebbia, Anna Maria, da un angolo d’Italia ‘resistente’ tra l’Appennino e la bassa valle del fiume Reno. Nata a Sasso Marconi nel 1940 e arrivata a Bologna sulle onde (radio) di Guglielmo Marconi, Anna Maria Monari ha un’attitudine formidabile per la pasta e un’inclinazione partigiana alla libertà, quella che si guadagna negli anni Settanta, divorziando e cambiando il percorso di una vita altrimenti segnata. Reggitrice del desco e sfoglina da quando aveva dieci anni, condivide la vocazione gastronomica della sua Emilia, allungata tra olmi e vigneti e divisa da una linea retta che per Francesco Guccini è strada e frontiera.

Approdata a Bologna dalla campagna, scorge le sue torri civiche e il suo destino. Originariamente collocate nel punto di ingresso in città della via Emilia, le Torri Garisenda e degli Asinelli guidano Anna Maria alla ricerca di una professionalità e di uno spazio di autonomia. Nel modo della strada consolare, la signora Monari è la più dritta di tutte, entra in città e diventa cardine delle comunicazioni. Da lei prima o poi bisogna passare, perché ha visto e sentito tutto, perché indica direzioni e obiettivi, perché è una mappa storica, culturale, identitaria, una via nobile che sebbene cucita e rattoppata tra svincoli infiniti, rotonde e deviazioni, regge con disinvoltura l’urto della globalizzazione e della ristorazione contemporanea.

All’ombra delle Torri e alla faccia di un’arte culinaria nevrotica che sperimenta sempre nuovi accostamenti, Anna Maria è portatrice sana di una cucina semplice e trionfale che riscalda il cuore. Piatti e ricette della tradizione emiliana che esprimono la forza fisica della campagna. Quella forza che serve a fare delle imprese, a trasportare delle cose, a rompere un mazzo di carte, a tirare su una tavola, a trainare un aratro, a ‘svinare’, a prendere le corriere, a ballare nelle balere, a trovar la morosa, a ‘morosare’ di nascosto. C’è tutto questo e molto altro dentro e dietro le tagliatelle di questa bella signora emiliana che tira la sfoglia con mano e matterello. Perché, come dice lei nel documentario di Paolo Muran Anna Maria: tagliatelle e buona notte al secchio, “l’eccellenza è fatta a mano”.

Modesta, affabile, popolare, senza cercare la popolarità, Anna Maria pensa in dialetto e si racconta in italiano dentro la sua trattoria, dove impegna ogni sua energia, dirigendo con competenza e successo da più di trent’anni la sua ‘compagnia’. Un cast di esperti del ‘saper fare’ che ogni sera, come gli attori del Teatro Comunale, ubicato a pochi passi dal locale, vanno in scena davanti a un pubblico ‘affamato’ e pronto a chiedere il bis. E Anna Maria generosa lo concede sempre, buttando un altro nido di tagliatelle tirate secondo tradizione e declinate trentasette secondi dopo in un ragù classico. Un trito di carne e applicazione che ha commosso Bernardo Bertolucci e meritato l’encomio enfatico di Vittorio Gassman.

Specializzata nei classici – tagliatelle, tortellini e tortellone – Anna Maria ha la gestualità teatrale del mattatore nel tirare la sfoglia, nel tagliarla nei diversi formati, nel chiudere i tortellini o piegargli col mignolo, impastando la pasta con la storia dell’Emilia e della sua gente prudente. Quella che in un passato nemmeno troppo remoto imbottigliava dentro la nebbia, danzava come falene contro le lampade dalla luce fioca, affettava salame e ciccioli, farciva con la fame lo gnocco fritto, dimenticava col lambrusco le zanzare d’estate.

Rezdora (termine dialettale che corrisponde a reggitrice, a colei che regge la casa) gaudente e operosa, Anna Maria nella vita ha fatto tutto ed è stata tutto: cameriera al piano a Cortina d’Ampezzo, dove arriva in corriera e buca la notte col bagliore della volontà e del sogno, assistente di sala per sette anni con un occhio vigile alla cucina tra Chianciano Terme, Iesolo e Riccione, proprietaria di un circolo sportivo a Torre Verde in cui finirà come la madame Jouve di Truffaut a dispensare sapienza e tagliatelle, quelle che prepara di nascosto per sé e che un avventore assiduo rivendica presto al posto dei panini.

Comincia così l’avventura di Anna Maria e comincia da lì la fortuna delle sue tagliatelle, che assumono una funzione simile a quella dei dialetti, esprimendo un gusto che può essere compreso e tradotto in qualsiasi lingua. Lo sanno bene gli stranieri che consumano liricamente quelle strisce di pasta porosa che trattengono il condimento e prolungano il piacere. Perché per Anna Maria il piacere di un buon piatto è un criterio per la sopravvivenza. Inurbate e riemerse da pentole magiche, le sue tagliatelle sono un prodotto per i sensi che produce senso, un miracolo di uova e farina che non passa mai il punto di cottura, una ‘porzione’ cotta e servita che veicola l’eredità domestica delle famiglie emiliane, la ricchezza delle loro tradizioni, il valore umano, l’identità forte di sapori concreti e diversificati.

Dai tavoli della sua trattoria, Anna Maria è diventata negli anni testimone della sua città, della sua regione, dell’evoluzione dei costumi, delle ideologie, della (de)generazione che avanza e in cui fatica a riconoscersi, lei pietra miliare della via Emilia e istituzione bolognese. Lei che ha il nome e il bellosguardo dell’Anna di Lucio Dalla, che come ogni artista ‘incorniciato’ sulle pareti della trattoria ha trovato rifugio, cortesia e appagamento al cospetto della tagliatella. Allacciata al passato ma dinamica sul presente, Anna Maria aspetta senza avere paura domani, perché sarà Simonetta Cesari, valchiria bionda conosciuta ancora adolescente, a trasformare in patrimonio questa donna consapevole e capace, tenace e inflessibilmente onesta, custode della tradizione ma anche protagonista di una storia di emancipazione dal ruolo subalterno che occupava nella società patriarcale contadina.

Anna Maria ha la chiave della giornata, della vita, della sua trattoria aperta a clandestini e clochard, che come lei vengono dalla bruma e cercano un lampo. Un lampo che lei ha riconosciuto e trasformato in scelta politica, mestiere e prodotto culturale, contro la riproduzione industriale e gli spadellatori televisivi, che ignorano la ruvidità della vita e della tagliatella. Quella di Anna Maria che conserva e difende tutta la bellezza del suo essere, che lega materia prima ‘della più fina’e la fa ben figurare.

Soddisfatta del bene e del buono fatto, si racconta e poi congeda senza nostalgie ma con un sogno che bolle ancora in pentola: se dopo il tonno in scatola Kevin Costner volesse gradire le sue tagliatelle, che lei giura “so good”, Anna Maria ne sarebbe oltremodo lieta. Come cuoca e come donna. Nell’attesa dell’epica e del cowboy si toglie il grembiule, esibisce un filo di perle e rimugina su come carezèr l’uomo dei sogni. Falco della frontiera senza ombre e con le pistole ai fianchi, come lo figura lei e come non ce ne sono più, tra la via Emilia e il West.