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La resa di Playboy. Kate Moss in copertina è un buco nell’immaginario

Ormai non c'è più nulla da spogliare e quindi da scoprire, per questo c'è chi sostiene che la rivista di Hugh Hefner funzionerebbe meglio come semplice lifestyle magazine, magari mettendo le braghe alla rivista per poter sbarcare come app su iPhone

Cosa ci faccia la bellezza distante e aliena di Kate Moss, l’algida e regina di Londra, l’unica vera Kate con l’estetica della copertina di Playboy al momento lo spiega solo il marketing di un magazine for men only (esistono ancora?) che tenta di risalire la china della crisi mentre vecchi sodali come Penthouse chiudono portandosi appresso un’intera epoca.

Annunciato fin da primavera 2013, anticipato, celebrato e infine sfogliato nei primi giorni del 2014, il doppio numero gennaio/febbraio di Playboy ha puntato sull’equazione 60 anni della rivista + 40 anni dell’icona. Kate Moss con le orecchie da coniglio l’hanno insomma vista tutti, e poco importa ormai se una copertina ottiene visibilità senza portare con sé i contenuti della rivista a cui appartiene. Ma finire su CoverJunkie non dovrebbe stare stretto a Playboy?

Quando il direttore di Playboy Usa Jimmy Jellinek esclama che “avere Kate Moss in copertina assicura a Playboy un successo che durerà per almeno altri 60 anni” si merita giustamente il sarcasmo di Mike Edison, autore di “Dirty! Dirty! Dirty!”: “trovare su Playboy una quarantenne carponi con una coda di coniglio attaccata al sedere non è retrò ma preistoria”.

Se non fosse che la parabola di Kate moss dall’heroin chic alle stime di Forbes è consolidata e non ha bisogno di nulla, si potrebbe dire che proprio lei che era nata come reazione austera al regno adulto delle fate patinate e della esuberanza sexy delle top model (quando “sexy” ancora significava imbarazzo) ha vinto pure su Playboy. Ma non c’è epica in questa vittoria.

Il servizio fotografico effettuato in un castello inglese non aggiunge nulla all’immaginario su Kate Moss che invece il vero regalo di compleanno se l’è concesso con il sofisticato Tim Walker per Love Magazine. Gli scatti di Mert Alas e Marcos Piggott non valgono gli sguardi potenti e sofisticati dei suoi mentori: Corinne Day, Mario Sorrenti, Mario Testino. Da questo punto di vista Playboy non ha ottenuto nessuna esclusiva dall’icona Moss, né ha inteso fornirla, neanche per contrasto.

Per esempio in Inghilterra Playboy avrebbe potuto trovare l’anti-Moss, la naturale reazione all’algida sensualità dell’icona che oggi è una istituzione e ieri era il punto di rottura, non in passerella ma sulle pagine dei lad mag inglesi FHM, Zoo, Front, Loaded, Nuts, dove le starlette sono le formose Danica Thrall, Lucy Pinder, Rosie Jones, India Reynolds.

Accanto a Kate Moss nel numero Usa compaiono le playmate invernali Amanda Booth e Roos Van Montfort, lisce salutiste e bellone, che però da anni non sono più una esclusiva di Playboy e comunque non fanno la differenza. Per giunta metà delle edizioni europee di Playboy non hanno in copertina Kate Moss, forse per questioni di diritti. Ula, Andreaa, Marly, Alina sono regine senza trono, per loro solo una fetta della torta.

Insomma dal regno demodè di una immaginazione estrema che non trova più il suo spazio, ci si aspettava – almeno nell’anniversario dei sessanta – una prova di muscoli, l’attimo di una cover per riconquistare lo status perduto. Invece niente. Dal gossip dei grandi siti online alla finestra sul palmo di mano di Instagram, da Victoria’s Secret al #friskyfriday, Playboy non detiene più l’esclusiva dello sguardo only for men: al massimo confeziona servizi come il sarto per il vestito della domenica (quando nell’erotismo di oggi non esistono festivi) e se pure riesce a intercettare in rete una giovanissima Jaclyn Swedberg promuovendola a playmate of the year 2011 non riesce a imporla oltre il personaggio della coniglietta.

In crisi di immaginario Playboy tenta la carta delle ospitate pur di dire “esisto ancora” nel mare magnum dell’erotismo digitale: prima della Moss ci sono state Lindsay Lohan sulla irraggiungibile falsariga della Monroe e la cover affittata ai milioni di Tamara Ecclestone. A marzo le larghe intese del marketing di Playboy si ritroveranno punto e a capo, con un buco nell’immaginario.

Lux Alptraum capa di Fleshboth, uno dei più aggiornati blog sull’entertainment per adulti, sostiene che Playboy non ha più bisogno del nudo, anzi oggi funzionerebbe come un semplice lifestyle magazine. La Alptraum legge nel pensiero dei manager di Playboy che stanno correggendo il tiro, per esempio mettendo le braghe alla rivista per poter sbarcare come app su iPhone. È la resa? Di certo non c’è più nulla da spogliare e quindi da scoprire, anche l’ironia è un taglio abusato.

Nel 2013 Sports Illustrated ha bruciato a Playboy la 21enne americana bombastica Kate Upton, con una cover che ha creato antico imbarazzo tanto che la mamma blogger Kelly Brown ha provato a rivestirla. V Magazine l’ha scelta come l’anti-Moss neo bunny, a febbraio doppia elegante copertina sovrapposta per vederla in bikini.

La sfrontata Paz de la Huerta – già scoperta sul Playboy francese da Ellen Von Unwerth nel 2009 e riproposta nel 2013 sull’edizione Usa – sembrava potesse svegliare Hefner dal letargo ma non è stato così, nonostante le foto fossero di Mario Sorrenti: forse perché le orecchie da coniglio le stanno strette, forse perché Playboy con la Huerta è stato scavalcato a destra da un più efficace servizio di Agent Provocateur.

Chissà se la “sexy” Amy Adams abbia voglia di festeggiare i suoi 40 anni regalandosi una cover estiva su Playboy. Ma sarebbe appunto un regalo, nessuno della Mansion saprebbe più inventarla.