
“Sono la donna della fine del mondo / Io canterò fino alla fine / Lasciatemi cantare fino alla fine”. Il registro scuro e il timbro roco della regina della musica brasiliana, eletta voce brasiliana del millennio nel 1999 dalla BBC, fanno centro cantando una definizione, la donna della fine del mondo, che è il titolo dell’ultimo album (sono 34 in 60 anni di carriera) che difficilmente potrà essere corretta, né tantomeno smentita.
Ha dovuto aspettare i suoi 78 anni per avere un disco di canzoni scritte per lei, Elza Soares, un disco di inedite firmate dal meglio della scena indie di Sao Paulo, che per questa regina della fine del mondo ha tessuto un tappeto sonoro avventuroso e audace su cui potesse distendere swing, balanço e incanto della sua voce nera. Il disco – A mulher do fim do mundo – esce nel 2015 in Brasile, e guadagna la stampa inglese e americana nel 2016, comparendo di fatto in questi giorni nelle classifiche di fine anno – dal New York Times a Pitchfork, fa capolino un po’ dappertutto.
La vita di Elza è più di un romanzo: nata poverissima in una favela di Rio de Janeiro (che per quello che sembra uno scherzo del destino si chiama Moça Bonita, cioè bella ragazza) e sposata dal padre a 12 anni con un suo amico, a 13 anni è già madre e a 15 perde il suo secondo figlio, e saranno quattro i figli che non le sopravvivono. Il marito, l’amico del padre, si ammala di tubercolosi e a 21 anni Elza è vedova, con cinque figli da tirare su. Diventa operaia in una fabbrica di sapone, senza mai mettere via il sogno, e anche l’urgenza, di cantare.
Per cantare, a 13 anni si presenta ad un talent della TV Tupi, da Ary Barroso (chi di noi non ha mai sentito la sua “Brazil”, almeno nel tema dell’omonimo film di Terry Gilliam?). Elza parla male e veste peggio, ed Ary ironicamente le chiede da quale pianeta arrivasse: “dallo stesso del signore”, risponde lei. “Posso sapere di che pianeta sarei?” incalza l’elegante conduttore, “del pianeta fame”, è la risposta fulminante. Ma poi canta, canta benissimo, e va via col gettone che le permette di comprare le medicine al figlio, uno dei tanti figli della fine del mondo.
Donna, nera, della favela, ha combattuto con tutto e tutti, contro tutti i pregiudizi e i perbenismi di un Paese, spesso di un mondo, classista, maschilista, razzista durante una vita intera. Un Paese che le dà i primi posti in classifica e il successo fra i primi anni 60 e la metà dei 70, e con la stessa facilità la dimentica e la riscopre. Elza domina i palchi con una furia che piega la bossanova e accende il samba, canta in radio e in teatro, duetta con Caetano Veloso e Chico Buarque, viene spedita in Cile a rappresentare il Brasile nella Coppa del mondo di calcio. In Cile conosce Louis Armstrong e Garrincha, “l’angelo dalle gambe storte”, come lo definì Vinicius de Moraes: sarà il suo grande romanzo d’amore, controverso, violento, doloroso. Manè Garrincha morirà di depressione, alcool e cirrosi a meno di 50 anni.
Con Garrincha Elza si era trasferita a Roma, erano gli anni delle grandi stagioni del Sistina, ma anche il nostro è un Paese che dimentica. Elza invece non dimentica, né si ferma, costantemente si reinventa, da ogni fine del mondo avrà sempre la forza di combattere,e oggi, quando le chiedono quale fra le canzoni di questo disco prezioso più la rappresentino, risponde senza esitazione: “Maria de Vila Matilde, perché parlo alle donne. È la mia storia”. La storia della violenza su una donna che non sta zitta, e denuncia.
video con testo portoghese e inglese