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Paola Minaccioni: “Una risata è il mio regalo di Natale”

"Non credo ci sia differenza tra un comico donna o uomo. Credo che ci siano i comici bravi e quelli no, quelli che vogliono far ridere e quelli che fanno ridere davvero", dice l'attrice coprotagonista di Un Natale stupefacente (ma anche di tanti film di Ferzan Ozpetek)

Paola Minaccioni è divertente, e questo lo avevamo intuito, ma è anche poliedrica e iperattiva. I tre elementi caratterizzano la sua attività artistica facendola muovere agevolmente tra teatro – primo grande amore – cinema, televisione e radio. Così, dagli studi di drammaturgia classica e dal laboratorio di Serena Dandini, Paola arriva in tv con programmi come NeriPoppins e Mai dire martedì, mentre il cinema le offre le prime opportunità con la commedia popolare.

Tra Un’estate al mare, Ex e Baciato dalla fortuna, arriva l’incontro con Ferzan Ozpetek. Galeotto fu il teatro, e da quel momento i due non si sono più lasciati e hanno dato vita ad un sodalizio che inizia da Cuore sacro e, passando per Mine vaganti e Magnifica presenza, ha regalato alla Minaccioni il ruolo intenso e profondamente umano di Egle in Allacciate le cinture.

Ora, dopo la soddisfazione di un David di Donatello vinto per quel ruolo come migliore attrice non protagonista, Paola si prepara a trascorrere Un Natale stupefacente (questo il titolo della commedia Filmauro diretta da Volfango de Biasi appena uscita nelle sale italiane) accanto agli amici Lillo e Greg, Ambra Angiolini e Paolo Calabresi, per dare vita alla prima vera rivoluzione di un cinepanettone con gusto. Se pensate, però, che abbia voglia di riposare vi sbagliate di grosso.

Molte critiche dicono che Un Natale stupefacente reinventa e modernizza il cinepanettone, in senso positivo. Qual è, secondo te, il segreto di questo successo?

Sono felicissima dell’accoglienza che ha ricevuto il film, ma con questo non vogliamo rinnegare il passato: entrare in un progetto con ben trentuno anni di “storia” alle spalle è stata una sfida per tutti noi. Certo è che il pubblico sta chiedendo altro ed abbiamo cercato di rispondere a questa nuova esigenza. Credo che con Un Natale stupefacente siamo riusciti a dimostrare che si può lavorare con cura e attenzione anche nella commedia costruendo situazioni e personaggi concreti, perché non esiste una comicità a senso unico. Tra tutti i commenti ricevuti mi ha fatto felice soprattutto quello che ha definito il film “esportabile”. Alcuni lo hanno paragonato addirittura alla commedia americana, ma io credo invece che mantenga la sua natura popolare con una impostazione completamente diversa rispetto al passato, più delicata e raffinata. Questo significa che anche il cinema pop può e deve essere ben fatto.

L’elemento più innovativo forse è la costruzione di personaggi veri e non di macchiette. In modo particolare, alle donne vengono finalmente offerti dei ruoli definiti.

Sono d’accordo sul fatto che l’impostazione dei personaggi sia sicuramente più moderna rispetto al passato, soprattutto per quanto riguarda i ruoli femminili. Ad esempio la mia Marisa è finalmente una donna vera, a tutto tondo, che entra in crisi, lascia il marito e poi si fidanza con un tatuatore. Solitamente in questo tipo di film le donne sono rilegate sullo sfondo e sempre in ruoli statici. In sintesi, o sei la “bbona” oppure la “cozza”.

Perché è così?

Perché è il cinema dei maschi, che hanno proiettato sul grande schermo il loro immaginario. E noi attrici ci siamo trovate ad essere oggetto di una ghettizzazione, abbiamo dovuto faticare molto per riconoscerci in ruoli validi. Però voglio che la mia sia una riflessione in positivo, vista anche l’esperienza vissuta con questo film. Questa volta, sia a me che ad Ambra Angiolini, è stata offerta la possibilità di interpretare due ruoli ben strutturati. Così ho potuto affrontare l’interpretazione di Marisa con la stessa cura che avrei messo in un film “impegnato”.

Visto il periodo dell’anno, la domanda è quasi d’obbligo: per Paola Minaccioni, il Natale è stupefacente?

Guarda, per me un Natale stupefacente è quando ti svegli il 26 mattina e scopri che è tutto passato. Da un po’ di anni, però, cerco di personalizzare questa festività e di inventarmi delle cose a modo mio per viverlo in modo diverso con le mie nipoti. Altrimenti diventa tutto noioso.

E per quanto riguarda i regali, per te vale il principio “basta il pensiero”?

Assolutamente no, non sono una che compra una cosa a caso tanto per non presentarsi a mani vuote, se un oggetto non mi convince non lo acquisto, né tantomeno lo regalo. E questo esula dal valore economico o dalla grandezza del regalo.

Tornando al tuo lavoro, come sei riuscita a dividerti tra il comico e il drammatico in una realtà artistica che tende a incasellare?

Al cinema ho esordito con film super commerciali e quando me li hanno offerti li ho accettati, molto semplicemente. Certo, è difficile sfuggire al giudizio e alla ghettizzazione. Per quanto mi riguarda ho sempre cercato di guardare al cinema internazionale, cercando di fare al meglio il mio lavoro. Credo che la comicità sia una possibilità in più che ti viene offerta e sono felice di poter far ridere. È un regalo. Ma se mi pongono sempre di fronte a dei personaggi costruiti solo sulle battute comiche, allora mi annoio: si può far ridere anche senza fare per forza una battuta.

Vedi qualche cambiamento all’orizzonte?

Ora sembra che qualche cosa si stia muovendo in senso contrario, vista la crisi e le richieste del pubblico. Comunque, comico o impegnato, a me non piacciono le cose fatte tanto per fare. A questo proposito mi infastidiscono anche i film di autori che se la tirano, dirigono opere incomprensibili e se ne fregano del pubblico. Se guardiamo alla realtà americana, non c’è questa classificazione e differenziazione netta. Certo, esiste la commedia demenziale, ma registi e attori si mettono alla prova con generi completamente diversi.

Hai collaborato a lungo anche con Serena Dandini. In che modo è cambiata la comicità femminile dai tempi de La tv delle ragazze?

Serena ha dato il la ed ha messo in luce molti talenti comici al femminile. Non credo, però, ci sia differenza tra un comico donna o uomo. Credo, piuttosto, che ci siano i comici bravi e quelli no, quelli che vogliono far ridere e quelli che fanno ridere. Certo, nell’immaginario la donna è legata ancora alla rappresentazione della femminilità e bellezza che, per alcuni, non si abbina all’ironia. Questo vuol dire che c’è ancora un lavoro lunghissimo da fare. Ma sono stati fatti passi importanti attraverso una generazione di comiche capaci di scrivere i propri testi con grande ironia. Mi viene in mente Paola Cortellesi, donna incredibilmente intelligente. Perché non bisogna dimenticare che l’ironia e la comicità nascono proprio dall’intelligenza.

Il cinema impegnato invece arriva per te attraverso Ferzan Ozpetek. Cosa vuol dire essere una delle attrici preferite di un regista che si innamora sempre dei suoi interpreti?

È vero, Ferzan si innamora di te e tu ti innamori di lui. Noi non ci conoscevamo, poi lui mi ha vista a teatro e mi ha scelta per un ruolo in Cuore sacro. Sul set parla molto poco, quello che fa è mettersi in sintonia con te. In questo modo già intravede i tratti della tua personalità o del tuo vissuto che esplorerà nella sceneggiatura successiva. Arrivati al quarto film insieme,abbiamo un terreno comune su cui abbiamo costruito un un rapporto d’amore. Come è successo a tutti quelli che hanno lavorato con lui, perché Ferzan ama i suoi attori. Con questo non voglio dire che viene lì e ti bacia e abbraccia. Piuttosto ti osserva, ti rispetta e tira fuori il meglio di te.

Come è successo con il personaggio di Egle in Allacciate le cinture, che quest’anno ti ha portato a vincere il David.

Era un ruolo meraviglioso e l’ho recitato così come era scritto. Ferzan l’ha immaginato in quel modo perché mi conosceva bene. In generale, mi ha offerto la possibilità di vestire tanta umanità diversa.

Dopo tanto cinema non hai voglia di tornare a teatro?

Assolutamente sì, non posso stare per molto tempo lontano dal palcoscenico. È quasi come l’astinenza sessuale. In questo momento sto pensando a quattro progetti e spero di portarne in scena almeno due il prossimo anno.

Parafrasando proprio un tuo spettacolo teatrale, le donne di oggi sono più infinite o sfinite?

Noi donne tendiamo all’infinito e ci sfiniamo perché tocchiamo con mani la nostra finitezza. Il fatto è che dobbiamo coprire molti ruoli: madre, amica, fidanzata, figlia, moglie, amante e professionista. Il tutto, possibilmente, senza invecchiare mai. E fare tutto è piuttosto impegnativo. Quindi ci sfiniamo nel tentativo di essere infinite.