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In Piemonte un festival d’autrici sui falsi documentari

Sette equipe di cineasti per raccontare con una bugia le risorse evidenti e nascoste del territorio. Immaginateli vagare tra i paesi delle valli del Piemonte a caccia di abitanti da usare come attori improvvisati e avrete un'idea del Piemonte Documenteur Filmfest

Dicono di essere come il giorno e la notte, ma Carlotta Givo e Antonella Ghio, l’anima creativa e quella più razionale, si completano così bene da aver ideato e messo in piedi insieme il Piemonte Documenteur Filmfest (PDFF), l’unico evento in Europa dedicato ai falsi documentari d’autore.

La scintilla nasce nella mente di Carlotta che scopre un festival affine in Canada, durante un viaggio. Dopo un solo incontro con Antonella le telefona e le propone il progetto: “Era il 2009, ci eravamo appena conosciute ma è stato amore a prima vista – ricordano – Nel nostro secondo incontro già parlavamo di come concretizzare il PDFF”.

Prendete sette borghi di montagna ad agosto, aggiungeteci altrettante equipe di cineasti pronti a raccontare con una bugia le risorse evidenti e nascoste del territorio, immaginateli a vagare tra i paesi delle valli del Piemonte per una settimana a caccia degli abitanti del luogo da usare come attori improvvisati e avrete un’idea di come si svolge il festival: “A ogni equipe viene assegnato un paese nel quale devono girare la loro storia ‘falsa’ coinvolgendo la popolazione locale. Il tutto in 96 ore, montaggio compreso. Alla fine della settimana ci si ritrova, i corti vengono visionati da una giura di esperti e dopo una proiezione con tutti i partecipanti avviene la premiazione”.

Al primo classificato vanno 3mila euro, al preferito del pubblico un premio in denaro ricavato dalle stesse offerte di chi assiste alle proiezioni e alla realizzazione dei corti, a tutti resta la partecipazione a un festival di qualità tra le montagne piemontesi.

Dietro a tutto questo c’è un anno di lavoro per trovare i finanziamenti tramite bandi, la scrittura del progetto dedicato ogni anno a un tema diverso, la gestione della comunicazione verso il pubblico e i partecipanti, la creazione della grafica, del merchandising, le relazioni con le amministrazioni dei Comuni coinvolti, non sempre facili, e la selezione delle equipe: “In molti aspettano quasi lo scadere del tempo disponibile per le iscrizioni – racconta Carlotta – Io mi agito, mi deprimo pensando che nessuno vorrà partecipare e invece alla fine riceviamo una quarantina di adesioni. Guardo i curricula uno per uno, valuto la tipologia, scelgo le sette troupe che parteciperanno davvero. E scrivo a tutti per spiegare perché sono stati esclusi”.

Un’iniziativa del genere richiede passione e impegno. Volontà di donare molto del proprio tempo libero per far funzionare tutto. Carlotta ha 35 anni e lavora come social media manager mentre Antonella, 50 anni, sposata e con un figlio di 11 anni, è impiegata in un’agenzia pubblicitaria. Il festival è un progetto che amano ma dal quale non guadagnano nulla: “Per noi è uno strumento per dare visibilità a luoghi che se la meritano. Non siamo originarie dei territori dove si svolge il festival, non abbiamo particolari legami con i borghi. Ci interessa la possibilità di creare un senso di comunità, di valorizzare le persone che ne fanno parte. Noi mettiamo amore e stima per questi luoghi in senso ampio”.

Mente, cuore e braccia del team di lavoro che rende possibile il Piemonte Documenteur Filmfest sono prevalentemente femminili: “Noi donne siamo organizzate e capaci di tenere insieme il lavoro come facciamo con la famiglia – ragiona Antonella – E poi siamo in grado di fare tutto, compresi i lavori manuali”.

Le due ideatrici sono anche un po’ mamme del loro progetto e delle equipe che partecipano: durante il concorso danno consigli, seguono da vicino, spronano a trovare soluzioni. Si affezionano a chi condivide con loro l’esperienza: “I cineasti provengono da tutta Italia. Alcune troupe delle scorse edizioni della Versilia o del Lazio sono tornate nei paesi dove avevano girato anche solo per partecipare alle serate invernali di proiezione dei lavori. Un ragazzo turco che voleva provare a partecipare si è spostato in pullman, in treno e in autostop per raggiungerci e capire se sarebbe riuscito a far parte del PDFF. Non ce l’ha fatta ma speriamo di trovare un modo per averlo con noi la prossima edizione. È una realtà che permette la nascita di legami particolari”.

Un festival di questo tipo costerebbe in media oltre 70mila euro ma Antonella e Carlotta sono riuscite a realizzarlo con 30mila euro i primi anni a partire dal 2010 e appena 19mila nell’ultima edizione del 2014. I bandi tardano a essere pubblicati e trovare i fondi necessari è sempre più complicato. E anche ottenere quanto promesso richiede tempistiche lunghe. “Quest’anno ho investito soldi miei – ammette Carlotta – Purtroppo è davvero molto difficile andare avanti. Stiamo valutando se trasformare il concorso da annuale a biennale. Sarebbe meno faticoso reperire i finanziamenti e organizzare e si eviterebbe di sovraccaricare pubblico, popolazioni e amministrazioni coinvolte. Se sarà necessario rallenteremo, ci sposteremo. Vogliamo realizzare un festival di qualità ma anche caloroso e accogliente”.

Per farlo ci vogliono le risorse, i tempi e i modi giusti.