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Chi era la vera Marilyn Monroe? Le mille facce di Norma Jean Baker

Un nuovo saggio di Francesca Brignoli e Nuccio Lodato racconta l'attrice nella sua complessità: donna e bambina, sensuale e ingenua, "oca" e intellettuale, fragile e forte. Una donna cui, sullo schermo, è stato concesso di essere unicamente un'icona di seduzione

Chi era la vera Marilyn Monroe? La diva luminosa e vibrante “come gelatina” o la bambina buia e solitaria incapace di diventare adulta dopo un’infanzia all’insegna dell’abbandono e dell’indifferenza? Quali sono le mille facce di Norma Jean Baker, diventata un’icona a due iniziali – MM?

Provano a raccontarlo Francesca Brignoli e Nuccio Lodato nel bel saggio Marilyn Monroe (Le Mani), originale già nella divisione in capitoli, fra una biografia iniziale dell’attrice e una disamina finale di ognuno dei suoi film.

Anni, inganni. Uomini. Donne. Tecniche, metodi, fantasmi.

E poi ancora: Mitologie. Sesso. Tramp, quest’ultimo il capitolo più fortemente evocativo, che accosta la figura della Monroe al Vagabondo (in inglese tramp, appunto) Charlot. “Grazie al patetismo controllato, i tramp attraversano situazioni le più assurde, comiche, pericolose, svuotando e ridicolizzando, con la forza ribelle di un’ironia clownesca, infantile, elegante, la carica aggressiva di chi hanno di fronte”.

E infatti Marilyn, come Chaplin, si è spesso scontrata con un mondo che non sapeva come gestire il suo talento naturale, la sua sensualità prorompente, “quell’andatura danzante così personale e riconoscibile ben al di là dello specifico sexy con cui attraversa tutte le pellicole della sua carriera”, come la descrivono Brignoli e Lodato.

Sul suo straordinario “magnetismo animale”, Marilyn “è la prima ad agire, sottraendone pericolosità attraverso l’autoironia”. Disposta per questo a passare da “oca bionda”, lei che invece studiava incessantemente: recitazione, lingue, filosofia. Lei che leggeva di tutto, che chiedeva consigli a chiunque le sembrasse più colto, più esperto.

“Marilyn al cinema non ha passato (né futuro), non è mai figlia né tantomeno madre”, scrivono. E nemmeno compagna di vita: “In Niagara è una moglie che tradisce, ne Gli spostati una divorziata”. Perché l’icona MM si colloca fuori dal tempo, nell’immaginario collettivo di un pubblico che vuole immaginarla sua e di nessun altro, ma che “punisce” la sua carica erotica privandola di legami affettivi duraturi, che vadano oltre l’attrazione sessuale.

“La sua presenza è insieme ‘prima’ e ‘dopo’ il moderno, e i piani temporali vano in tilt di fronte a una che è troppo indietro e troppo avanti”, spiega il saggio. “Presenza corporea che inebria, di cui compiacersi, e insieme strumento di approvazione pubblica di un’attrice che, scoperto presto il proprio potere epidermico, non si sottrae mai alla donazione di sé”.

Continuano Brignoli e Lodato: “Mescolanza inesausta di artificio e autenticità, che si muove secondo il topos dell’incedere dalla povertà delle origini fino ai vertici di un mondo dorato in cui trova la morte, Marylin possiede la capacità (orchestrata o miracolosa) di saper rappresentare se stessa, di mettere in scena sul palcoscenico del mondo la sua fragilità, la sua vita, il suo corpo”.

Agli uomini faceva l’effetto di una “bellissima bambina, dalla risatina tutta sua, un suono tentatore come i campanelli tintinnanti di un carretto di gelati”, nelle parole del suo grande amico Truman Capote. Eppure “La morte le era compagna dappertutto e in ogni istante”, come ha scritto di lei l’ex marito, il drammaturgo Arthur Miller.

Quel che resta vivo e inesauribile è il sentimento di profonda tenerezza che Marilyn suscita in tutti, uomini e donne, e che andava al di là della sua capacità di seduzione, generando in noi il desiderio di proteggerla, di risparmiarle un dispiacere, di abbracciare quella consistenza calda e burrosa che era – quella sì – madre, figlia, sorella.