
Carolina Crescentini non ama le frasi di circostanza. “Anche se ho pensieri scomodi, ho il coraggio di dirli”, asserisce. E nella sua carriera di attrice si è sempre messa in gioco con coraggio, privilegiando il dubbio alle certezze assolute, anche riguardo al proprio talento. Per questo, prima di frequentare il Centro sperimentale di cinematografia presso cui si è diplomata in recitazione, ha seguito una serie infinita di seminari e laboratori di teatro con insegnanti provenienti da tutto il mondo.
E in teatro ha lavorato e continua a lavorare moltissimo, così come in televisione è stata, fra le altre cose, la mitica ”attrice cagna” della sitcom Boris, parodia di tutte le raccomandate che le sono passate accanto (o davanti). Al cinema ha lavorato con registi di primo piano come Ferzan Ozpetek (Mine vaganti, Allacciate le cinture) e Giuliano Montaldo (I demoni di San Pietroburgo, L’industriale), ma anche con tutto il gruppo dei nuovi autori, da Lucini a Piva, da Ponti a Marengo, da Genovese a Martani a (Silvio) Muccino.
Oggi interpreta l’ex moglie di Raoul Bova per un altro giovane regista, Alessio Maria Federici, nella commedia Fratelli unici, che esamina anche, in chiave comica, i rapporti fra uomini e donne.
Che differenza vedi fra uomini e donne?
Credo che siano le donne a prendere le decisioni, a organizzarsi di fronte ai problemi. Gli uomini invece tendono a muoversi in reazione, e lo dimostra il fatto che per fargli fare qualcosa devi metterli sotto pressione. Noi invece quando siamo sotto pressione diventiamo multitasking.
È difficile essere donna?
Essere donna è un lavoro, perché il resto del mondo ci pretende perfette, in tutti i campi: lavoro, amore, gestione pratica degli impegni quotidiani, rapporti con la famiglia allargata, che non è solo quella di sangue o acquisita con un matrimonio, ma è tutto il gruppo di persone che ci hanno scelti e che abbiamo scelto.
Nel lavoro di attrice, si riserva un trattamento diverso agli uomini rispetto a quello riservato alle donne?
Il cinema segue spesso ragionamenti meramente commerciali e distributivi e dunque le attrici vengono scritturate come “sex symbol di riferimento.” E le produzioni tendono a scegliere per primo l’interprete maschile, anche perché è risaputo che sono le donne a trascinare gli uomini al cinema.
Farebbe differenza se dietro la cinepresa ci fossero più donne?
Credo di sì. Più registe significherebbe più punti di vista femminili, che potrebbero far notare a tutti gli spettatori cose alle quali altrimenti non avrebbero pensato.
Come si può migliorare la situazione delle donne in Italia?
In parte sbagliamo anche noi, quando tendiamo al vittimismo, o all’iperfemminismo. Sia chiaro: il femminismo è stato necessario, e sarò sempre grata alle femministe per le battaglie che hanno combattuto, e spesso vinto, in nome di tutte noi. Ma forse è ora di fare un passo in avanti. Io non ho paura di essere una donna con le palle, ma non per questo intendo mascolinizzarmi, mi piace la mia fragilità, mi piace anche la mia goffaggine.
Sei esigente verso te stessa?
Molto, sono proprio severa, non posso fare una cosa se non mi sento sufficientemente preparata. Per questo prima di iniziare a recitare ho studiato tanto. Tra l’altro volevo fare la giornalista e il critico, la recitazione l’ho scoperta seguendo un seminario che faceva parte della mia preparazione per quei mestieri. Non l’avessi mai fatto! Si è aperto il vaso di Pandora, e dai vent’anni in poi non ho voluto fare altro.
Che cosa consigli a una giovane aspirante attrice?
Di rimboccarsi le maniche e di studiare tanto. Poi però non basta essere tecnicamente preparate, bisogna saper dare un proprio valore aggiunto, e lavorare in squadra, insieme agli altri attori.
Che cosa hai imparato da tua madre?
Ho una mamma simpaticissima sposata con papà da oltre 50 anni: si amano ancora, vanno a ballare insieme. In passato credevo che senza mio padre la mamma si sarebbe trovata in difficoltà. E invece ho scoperto che, davanti ai problemi, sa diventare una leonessa. Da lei dunque ho imparato ad essere una leonessa sorridente.
E da tua sorella?
Barbara, che ha dieci anni più di me, ha cambiato pelle molte volte. Da ragazza era una darkettona con la cresta punk, mi portava con sé ai concerti rock, una meraviglia. Adesso sembra Meg Ryan, è una commercialista che si muove con grande abilità in un mondo maschile, è organizzata e sempre “sul pezzo”. Da lei ho imparato ad essere super affidabile: è fondamentale, in qualsiasi lavoro.
Che cosa insegneresti invece tu ad una figlia?
A non avere paura di essere se stessa. E che le sarà necessario, nella vita, alzare la testa, perché è un attimo che cercano di fartela abbassare.
