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Alessandra Bruno: la maternità nel documentario Stato Interessante

La regista romana intervista donne tra i 38 e i 45 anni che non vogliono, non possono avere, o non si sono chieste se volessero dei bambini, ma si sono scontrate con un mondo che ti domanda cosa intendi fare o con un orologio biologico che inizia a ticchettare

Sono ricercatrici universitarie, scrittrici, insegnati, commesse di libreria, attrici, ma anche disoccupate, pilote di auto da corsa. Sono le donne di Stato Interessante, il documentario in fase di realizzazione di Alessandra Bruno, regista romana di quarantadue anni.

Un lavoro per parlare non di scelta di maternità o meno, ma di quella fase di mezzo di cui non siamo predisposti a discutere: “C’è un interregno in cui non si mettono a fuoco i propri desideri, in cui ci si confronta con se stesse, la società, il partner, il tempo che passa. Trovo che sia uno stato interessante: un momento in cui possono proliferare tante cose e non necessariamente dei figli. È una gestazione diversa”.

Donne tra i 38 e i 45 anni che non vogliono, non possono avere, o non si sono chieste se volessero dei bambini. E che ad un certo punto si sono scontrate con la realtà, con un mondo che ti domanda cosa intendi fare o con un orologio biologico fino a quel momento ignorato che inizia a ticchettare.

Alessandra è partita da sé: regista per i grandi network televisivi come Rai e Sky, senza figli, si è fermata a riflettere, si è dibattuta a lungo sull’essere madre. Con la voglia di raccontare una realtà si è messa al lavoro per trovare donne che volessero esporre i propri dubbi, le proprie domande interiori.

Come in un gioco di scatole cinesi, partendo dalle amiche, allargando il raggio e aprendo una pagina Facebook, Alessandra Bruno ha portato avanti una ricerca di oltre un anno per incontrare “non-madri” disposte a mettersi a nudo: “Ho scoperto che l’argomento interessa e riguarda un gran numero di coetanee. C’è stato un dialogo molto aperto con le persone coinvolte perché affrontare questo tema è complesso. Si è trattato di uno spazio di riflessione per arrivare a focalizzare un pensiero che a volte non era chiaro nemmeno a loro”.

La telecamera ha seguito i dialoghi con le amiche, con i compagni e i mariti, con la famiglia. Ha raccolto, senza disturbare, il flusso dei pensieri e la consapevolezza che ne nasceva. Chi ha ammesso di aver desiderato tante cose ma non un figlio, chi si è accorta di averci pensato solo per far contento il compagno, chi si è scoperta con i capelli bianchi al giro di boa.

Qualcuna ammette di non aver avuto il coraggio, o di non rimpiange l’amore di un bambino, o di non aver capito se ci fosse davvero un istinto di maternità o se prevalessero le pressioni esterne. Altre si sono è rese conto di aver riempito la propria vita ma di avvertire una mancanza, o di aver elaborato la consapevolezza che il proprio lavoro era un sogno tridimensionale e la maternità solo bidimensionale.

Venti voci e storie a testimonianza di tante altre: “Sono stata contattata da molte donne – ammette Alessandra – ma è un progetto ancora senza finanziamenti e non potevo permettermi di girare l’Italia quanto avrei voluto. Potrebbe essere allargato raccontando altre situazioni, cercando di capire se ci sono differenze tra regioni, città grandi o piccole. Per ora non ho i soldi per farlo”. La caccia ai finanziatori è partita ma si è scontrata con il sistema italiano, poco propenso ad appoggiare progetti già formati.

La regista rivede i filmati, riflette, monta: “Sto realizzando il documentario e provando a proporlo ai canali televisivi che conosco. Poi ci sono i festival. Mi piacerebbe anche realizzare una serie con brevi episodi che ogni volta mostrino una storia diversa. Ci sono momenti significativi che non vorrei andassero persi”.

L’obiettivo è quello di mostrare che è legittimo qualunque tipo di pensiero sulla maternità e che se non si corrisponde alle aspettative della società non ci si deve sentire in difetto. Alessandra vuole andare oltre lo stereotipo della donna in carriera che non desidera bambini e superare la dicotomia tra buone e cattive: “Questa divisione non ha senso. Qui si parla di istinti, desideri. Di donne consapevoli che hanno avuto vite diverse. O anche solo di casualità. Non sempre c’è una scelta compiuta ma le distrazioni di una vita che va avanti. Il mio lavoro è far vedere anche questo”.