
È commuovente ascoltare Alessandra Celi mentre ricorda la mamma Veronica Lazar, morta a Roma il 6 giugno scorso a settantasei anni. E viene voglia di fermare quelle immagini belle che si rincorrono a raffica, come tasselli di un puzzle difficilissimo di cui non possediamo il modello compiuto.
Ogni pezzo di per sé sufficiente per raccontare una vita, ogni pezzo necessario e diverso dall’altro, perché la vita di questa donna bellissima, attrice icona di Bernardo Bertolucci e Michelangelo Antonioni, è stata la concentrazione di tante vite diverse.
Sono preziosissime gemme quelle che ci regala Alessandra, da figlia amorevole, persino materna, nei confronti di una mamma che quando lei e il fratello Leonardo erano ancora al liceo, è partita per l’Africa lasciandoli soli per un anno intero. Ma era per coordinare la costruzione di un ospedale nel Mali, in mezzo al deserto, e si trattava di un incarico del Ministero degli esteri.
“Lei era felice, noi siamo andati a trovarla a Natale, e quando è tornata era carica di stoffe meravigliose, di statue, tappeti, e la sua casa è ancora adesso piena di cose”.
Più tardi, ai ragazzi cresciuti, raccontò che aveva avuto una storia d’amore con un capo villaggio, che era stata la sua quinta moglie e che lo chiamava il comandante. Ma così, lievemente, perché poi, terminato in bellezza il periodo africano, è finito anche l’amore, ed è serenamente tornata alla vita romana.
A Roma Veronica ventiseienne era arrivata dalla Romania per sfuggire alle persecuzioni razziali. Con la sua famiglia, di origine ebraica, voleva raggiungere l’America o Israele passando per Roma, e come spesso succede a chi si imbatte in questa città, non l’ha più lasciata.
“Sai, il buonumore, il cibo buono, e soprattutto l’assenza di antisemitismo. I miei nonni trovarono subito lavoro e lei ha conosciuto mio padre”.
Adolfo Celi, già celebre attore di teatro e cinema, incontrato a una festa di quelle che si facevano una volta. Perché Veronica, che imparò l’italiano in poche settimane, in Italia è arrivata con il mestiere di attrice bello confezionato e una solida scuola di recitazione alle spalle.
Con Antonioni lavora in Identificazione di una donna e nel suo ultimo film, Al di là delle nuvole, ma è soprattutto con Bertolucci che si instaura un sodalizio mai interrotto, dal debutto ne L’ultimo tango a Parigi al recente Io e te, dove interpretava la nonna, eletta confidente del protagonista, passando per film epocali come La luna, Il tè nel deserto, L’assedio.
Eppure le tante vite mutuate dal cinema a lei non bastavano. Quelle vite virtuali che molti attori rivendicano come antidoto a squilibri e nevrosi, non hanno sostituito la sua vita reale, una delle sue tante vite reali. Così si è presa una laurea in psicologia, cum laude, e ha cominciato a esercitare la professione.
“Fu un periodo breve quello in cui lavorava come psicoterapeuta in una Asl, occupandosi prevalentemente di terapia di coppia”. Proprio lei, che “con mio padre aveva un rapporto burrascosissimo, seminava il panico, lo faceva impazzire”, era diventata una stimata analista di coppia. Ma si sa, similia similibus iuvant, e chi più di un animo folle può a buon diritto occuparsi di ‘follia’?
Il suo amatissimo genero, che è un valente e accreditato attore di prosa e risponde al nome di Gianluigi Fogacci, l’ha salutata dalle pagine facebook come la suocera “più pazza e simpatica che si possa sperare di avere”. E gli attori di stanza al teatro Valle, che Veronica coccolava come una mamma (“se qualcuno vuole fare una doccia metto a disposizione casa”), ricordano le sue pietanze salvifiche cucinate in pentoloni giganti. “Non si perdeva uno spettacolo di Gianluigi, ma preferiva frequentare il teatro off, e cucinava divinamente. Piatti ispirati alla tradizione ungherese e il filetto all’estragon, cotto in olio bollente a fiamma altissima”.
Ci fa piacere raccontare anche questo, insieme alla sua ‘militanza’ culturale e al suo impegno a diffondere la cultura e il cinema italiano in Romania.
Insieme alla passione per il gioco delle carte, condivisa con le amiche, e al suo amore smisurato per il mare, di fronte al quale la sua anima irrequieta trovava conforto.
“Alternava momenti di grande socialità a momenti di preoccupante solitudine – dice ancora Alessandra – ma della morte non aveva paura”.
E al suo funerale ha voluto che Maddalena, l’adorata nipote diciottenne, musicista in carriera, suonasse al violino il tema di Schindler’s list tra gli alberi del cimitero ebraico di Prima Porta.
Alessandra annuncia che il fratello Leonardo, regista di documentari e di cinema, già autore di Adolfo Celi, un uomo per due culture, dedicato al padre, ha in serbo un lavoro dedicato a Veronica. Chissà, una donna per un milione di vite.
