
Il suo diritto al quarto d’ora di visibilità si quadruplica quotidianamente. In fondo, non basterebbero 15 minuti per contenere Marina Ripa di Meana e la sua predisposizione all’essere sempre attenta a tutto ciò che si evolve a ritmo frenetico.
Non considera la sua “presenza” un successo: “Non ho mai avuto la cognizione di vivere sotto il luccichio di un riflettore; mi è interessato prima di tutto commentare e approfondire la vita che mi gira intorno”.
Marina, la donna che inventò se stessa, non è diversa dalla ragazzina cresciuta nel quartiere Parioli che iniziò a remare contro le severe imposizioni educative. Nel corso degli anni ha raccontato le sue esuberanze giovanili, l’avvenenza che la annoverò tra le donne più belle del mondo, e i suoi amori tra i quali quello intenso e sofferto con il pittore Franco Angeli.
Le sue prerogative esistenziali, però, oggi hanno sembianze diverse. Nel suo ultimo libro, Invecchierò ma con calma (edito nel 2012 da Mondadori), Marina mostra il suo Essere intimo, spaventato e ferito dal cancro che l’ha colpita all’improvviso in un momento in cui credeva di essere forte: “Mi è cascato il mondo addosso davanti al mio corpo che comunicava di essere malato; è stato il più grande tradimento subìto dalla vita. Ai tradimenti bisogna reagire senza covare vendetta e attaccando il traditore, rendendolo pubblico per permettere ai traditi di schierarsi dalla nostra parte”. Cos’è la forza? “Qualcosa di innato che prende il sopravvento per non farci soccombere; non credo sia un atto eroico, si fa di necessità virtù e ci si rimbocca le maniche di fronte alle necessità”.
Una vita vissuta in trasparenza e ad alta voce, quella di Marina che davanti alla vetrinizzazione dei giovanissimi sul web dice: “Mi impressiona molto, ma non posso dare un giudizio perché è un qualcosa che fatico a comprendere. Il mondo cambia con velocità spaventosa, e sicuramente non sarò più tra di voi quando tutto si esaspererà”.
Osserva il web, quella galassia dove sono ancora fumanti le ire postume a una sua dichiarazione sul bilancio previdenziale di casa: “Un equivoco. Non è stato un piangermi addosso. Ho parlato della mia pensione minima da artigiana contrapponendomi a mio marito che percepisce più vitalizi. Si è scatenata una ferocissima polemica sul mio aver sottolineato l’attimo di ristrettezza che anche noi stiamo vivendo”.
Si sa, oltre al bieco populismo, non tutti reggono all’urto di una “privilegiata” che solleva questioni simili. “Non sono mai stata a carico di mio marito perché ho sempre operato dividendo le spese del nostro menage. Oggi lavoro – guadagnando molto meno rispetto al passato – con la televisione, con l’editoria, con le licenze della moda che ho fatto per 35 anni. Certo, siamo persone che godono di notevole vantaggio, ma non siamo ricchi tant’ è che abbiamo venduto la casa a romana e quella in Umbria. La crisi ha morso sul collo anche noi”.
Archiviate le battaglie con i Verdi, Marina e Carlo Ripa di Meana non ripongono lo spirito di opposizione nonviolenta. Dopo la protesta di qualche estate fa contro l’ambizione di sventrare il Pincio al fine di realizzarne un parcheggio, sono tornati in strada per i due Marò: “Siamo stati protagonisti di un goffo e buffo sit-in di sostegno, volutamente organizzato nel giorno in cui si insediava un altro esecutivo affidato a gente non eletta dal popolo”.
Una frecciata a Matteo Renzi? “Ho apprezzato la sua assunzione di responsabilità preventiva in caso di fallimento; è la prima volta che un politico si esprime in questo modo. Non ho elementi necessari per giudicarlo. Sembra un ragazzo privo di charme, di parola veloce e moderna, ma imprudente. Lasciamolo lavorare, sono pronta a ricredermi”.
Sarà la nostalgia della Prima Repubblica? “Quei personaggi hanno generato grandi lacune al nostro Paese, ma bastava che alzassero un sopracciglio per essere temuti; avevano quell’autorità innata che incuteva e trasmetteva qualcosa. Mi spiace ammetterlo, ma le nuove leve mi sembrano dei fantasmi inconsistenti. L’unico che salverei, pur non essendo sua seguace, è Berlusconi ché in bene e in male ha portato qualcosa di diverso”.
Anche Emma Bonino rappresenta in un certo senso la Prima Repubblica. “Ricordiamoci di com’era prima di indossare il noioso tailleurino. Speravo di vederla al Quirinale, memore delle sue battaglie di liberazione, dei suoi lanci in mare dall’elicottero, delle sue proteste davanti all’ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran contro l’obbligo del burqa e del velo per le donne. Ho pensato a lei quando mi sono quasi buttata dal balcone di piazza Farnese per difendere il mondo dagli esperimenti nucleari di Chirac. Oggi la vedo completamente spompata e imborghesita”. Un cappuccino e un cornetto, e dai primi quarant’anni si arriva ai settantadue. E poi? “Ho due libri in cantiere, ma le cose vengono strada facendo. Di sicuro, però, continuerò a concentrarmi e a sostenere la causa per riportare a casa i nostri Marò”. Parola di Marina.
