
Diana Dell’Erba è un’attrice 31enne che ha lavorato con Peter Greenaway e Marco Bellocchio e ora è passata dietro la cinepresa per documentare l’avventura delle sue colleghe: Registe, è un racconto corale che vede affiancate pioniere della macchina da presa e giovani autrici da poco arrivate sulla scena.
“L’idea è nata quando dovevo decidere la mia tesi di laurea in sociologia. Ho scelto di concentrarmi sul cinema, e così sono venuta a conoscenza del fatto che su 100 registi in Italia solo sette sono donne, e la medesima situazione si riscontra più o meno dappertutto. È un argomento del quale non si è parlato più di tanto, e ho cercato di porre rimedio a questa lacuna”.
Come ha scelto le registe da intervistare?
Alcune, come Lina Wertmuller e Cecilia Mangini, erano pilastri imprescindibili: impossibile non includerle. Nella scelta delle più giovani invece mi sono affidata al mio gusto personale, stando attenta a che le filmografie delle registe fossero differenti l’una dall’altra e affrontassero argomenti diversi.
Chi erano le più reticenti?
Purtroppo Liliana Cavani ha declinato l’invito, non si sentiva rappresentata da un discorso di genere. Al suo posto parla il critico Gian Luigi Rondi, unico uomo nel documentario, portavoce di una saggezza maschile.
Perché ha voluto far ragionare le registe, sul pensiero della differenza?
Perché è importante avere rispetto di quella differenza, e poi cercare punti in comune al di là dell’utopica uguaglianza, alla quale si potrà giungere solo alla lontana.
La voce narrante del documentario è l’attrice portoghese Maria de Medeiros, che veste i panni di Elvira Notari, la prima regista italiana. Come mai ha scelto de Medeiros?
L’ammiro moltissimo come attrice e mi è parsa molto simile all’idea che mi ero fatta sia fisicamente che caratterialmente della Notari: una donna forte e intraprendente che non ha mai abbandonato la sua dolcezza, una persona di polso a capo di famiglia cinematografica, capace di fare andare tutti d’accordo.
In Registe la Notari chiama i suoi film “le mie film”, al femminile. È un dato storico?
Durante la ricerca per il documentario ho trovato più volte questa sua espressione, e mi ha colpito. All’inizio della storia del cinema in Italia si parlava di pellicole, sostantivo femminile. Solo dopo le pellicole si sono trasformate nei film, sostantivo maschile.
Spesso nel documentario le registe paragonano il loro ruolo professionale a quello genitoriale.
Sì, perché la regista è a capo della macchina cinematografica come la madre è a capo della famiglia. Le registe imparano ad approcciare in modo diverso ogni persona con la quale lavorano, così come una madre si approccia in modo diverso ad ogni membro del suo nucleo famigliare.
La giovane regista Paola Randi nel film dice: “Tutti si fidano a dare un bambino in mano alle donne, ma quasi nessuno si fida a darci in mano un film”.
È un enorme paradosso, che si amplia alle imprese e a tutti i luoghi di potere.
Che cosa c’è nel suo futuro?
Riposare! Poi occuparmi di un progetto sulla realizzazione della persona, anzi di tutte le persone che sono dentro di noi. Ho già disegnato le foto, non resta che metterle in pratica.
